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Mazara del Vallo: Guardia Costiera sequestra circa 10 tonnellate di pesce spada

Precisazioni sul Capovaccaio sparato a Margi Spanò di Petrosino

(Giovedì 13 Settembre 2018)
In seguito all’abbattimento con munizionamento da caccia del giovane Capovaccaio Clara, lanciato da Matera dall’ISPRA e dal CERM di Guido Ceccolini, i mezzi d’informazione si sono subito attivati per diffondere in maniera più o meno egregia la notizia. Stamattina, mentre ero in auto, sono stato raggiunto dalla telefonata
di un amico giornalista il quale mi ha chiesto riscontri sull’accaduto e sui provvedimenti che potrebbero essere adottati per fronteggiare i continui atti di bracconaggio che si registrano in Sicilia sud-occidentale in cui la caccia alla selvaggina da penna e, quindi, agli uccelli essenzialmente migratori è particolarmente praticata. Ne è uscita una sorta d’intervista su di un giornale online che in buona sostanza ricalca ciò che ho riferito, ma la delicatezza della materia che presuppone conoscenza specifica mi induce a fare alcune precisazioni. Da rilevatore riconosciuto dall’ISPRA, in provincia di Trapani oltre a meci sono i signori Antonino Berbera di Castelvetrano e Salvatore Surdo di Trapani, vengo informato quando avviene un rilascio come quello relativo al Capovaccaio Clara, per eseguirne il semplice monitoraggio da terra. Fino allo scorso anno, quando la discarica di Campana Misiddi di Campobello di Mazara era attiva e gli uccelli compivano meno spostamenti per nutrirsi, i lanci, tranne che in un caso se non ricordo male, sono andati a buon fine. Clara probabilmente ce l’avrebbe pure fatta a raggiungere l’Africa se da Montagna Meta (territorio di Mazara) o da Partanna, dove è stata fino a domenica 9, avesse puntato per il mare aperto e quindi per Pantelleria, come ha fatto la sorella Bianca. E’ passata purtroppo da Margi Spanò in cui il bracconaggio, assieme a Capo Feto (Mazara), al Pantano Leone di Campobello di Mazarae alla diga di Castelvetrano, è peggio che allo Stretto di Messina. Il 10/9, con Antonino Barbera, l’ho ricercata per tutto il giorno nel vigneto a spalliera dal quale Guido Ceccolini riceveva il segnale satellitare, ma l’uccello, ferito, si sottraeva alla ricerca, avvalendosi anche dell’erba folta che vegeta alla base delle viti. L’11, da Trapani e da Palermo, sono dovuti accorrere in forze i Carabinieri Forestali e il maresciallo Palazzolo non ha avuto difficoltà a trovarla, dato che giaceva morta, con le lunghe ali distese, nello stesso filare di viti in cui io e Nino Barbera la cercavamo il giorno prima. Il sacrificio di Clara sembra avere fatto capire a chi di competenza quanto sia efferato il bracconaggio in Sicilia sud-occidentale, nelle zone umide del mazarese in particolare. Da sempre, infatti, ho sostenuto che nellenostre zone al bracconaggio spinto non sono mai corrisposti controlli adeguati, mentre i calendari venatori che si sono succeduti nel tempo se da un canto impongono la preclusione dell’attività venatoria nelle Oasi di Protezione e Rifugio della Fauna e in determinate ZPS, dall’altro rendono pressochè inefficace il provvedimento quando nelle stesse zone non ci sono le apposite tabelle di divieto. Mi sembra che ormai sono anni che la Regione non piazza tabelle di divieto, per esempio, a Capo Feto o al Pantano Leone (tra le ZPS in cui la caccia è preclusa). E, comunque, ho sempre sostenuto che la caccia va preclusa per almeno cinque anni in tutti quegli Ambititerritoriali di caccia in cui frequentemente vengono abbattuti rapaci, fenicotteri, ardeidi, cicogne, re di quaglie, morette tabaccate e altri uccelli protetti. Il beneficio sarebbe duplice, gli stessi cacciatori potrebbero rendersi partecipi a mettere al bando le mele marce e i conigli (selvaggina stanziale in declino) potrebbero averne giovamento, dato che vengono sistematicamente cacciati nelle sciare bruciate a tappeto, addirittura col furetto lungo i filari di pietre. Altro provvedimento essenziale sarebbe quello di non permettere alle guardie dipendenti dalle Ass. ni venatorie e alle guardie dipendenti dalle Ass. ni ambientaliste di esercitare la caccia per tutto il periodo che detengono il brevetto che li abilita ai controlli. O controllati o controllori, l’esperienza insegna che da noi le due posizioni non possono stare assieme. Ai cacciatori andrebbero assegnate delle aree in cui allevare ed immettere selvaggina per potere rendere compatibile quest’attività che è insita nel nostro DNA. Nel terzo millennio sembra infatti assurdo continuare a permettere la caccia in terreno libero e ad animali selvatici che hanno bisogno di vera protezione.

Enzo Sciabica.