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Condannato l'autista di Messina Denaro

La camera di consiglio è durata sei ore: tanto è bastato al gup di Palermo per decidere la colpevolezza di Giovanni Luppino, l’incensurato imprenditore agricolo di Campobello di Mazara che faceva da autista a Matteo Messina Denaro.

Nove anni e 2 mesi la pena inflitta dal giudice al termine di un processo celebrato in abbreviato, rito che dà diritto allo sconto di pena di un terzo. Una pena pesante nonostante il giudice abbia riqualificato il reato di associazione mafiosa contestato dalla Procura in quello di favoreggiamento e procurata inosservanza di pena aggravati.

Giovanni Luppino, insospettabile commerciante di olio, venne arrestato il 16 gennaio del 2023 insieme al padrino fuori dalla clinica la Maddalena, la struttura sanitaria in cui il capomafia, da tempo malato di cancro, si era prima operato per delle metastasi al fegato e poi si sottoponeva alla chemioterapia.

Nella sua auto vennero trovati due cellulari rigorosamente staccati, una precauzione presa per evitare le intercettazioni.

Ai carabinieri Luppino disse di aver conosciuto mesi prima il suo passeggero ma di ignorarne la vera identità. «È venuto a chiedermi un passaggio per Palermo questa mattina», si giustificò. Ma alla tesi dell’indagato la Procura non ha mai creduto. Con il passare dei mesi e i nuovi accertamenti svolti la posizione dell’imprenditore si è andata aggravando perchè i magistrati hanno scoperto che i passaggi alla clinica erano stati ben 50, altro che conoscenza occasionale. E che l’imputato aveva chiesto denaro ad altri imprenditori per conto del capomafia. Una circostanza confermata in aula da due testimoni che, insieme agli altri elementi trovati a carico di Luppino, ha indotto i pm a modificare la contestazione in associazioni mafiosa.

Col tempo la versione dell’autista del boss si è modificata. L’imprenditore ha raccontato al gup che a fargli conoscere Messina Denaro spacciandolo per un suo cugino, nel 2020, era stato un compaesano, Andrea Bonafede (il geometra che prestò l’identità al capomafia ndr), che gli avrebbe chiesto di accompagnarlo a Palermo per delle cure. Il capomafia gli sarebbe stato presentato col nome di Francesco Salsi e solo dopo tempo Luppino ne avrebbe conosciuto la vera identità. Da allora «per ragioni umanitarie», sapendo che il boss era gravemente malato, avrebbe continuato ad accompagnarlo alle terapie.

Secondo l’accusa, il ruolo fondamentale di Luppino nella latitanza del boss sarebbe dimostrato anche dalla sua scelta di coinvolgere i figli nell’assistenza al latitante. Erano loro, infatti, a custodire la macchina del padrino, a organizzare i suoi traslochi da un covo all’altro e a dargli aiuto e sostegno nei difficili spostamenti che dovette gestire in occasione dell’ultimo intervento chirurgico.

Fonte: Gds.it