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Pesca in crisi a Mazara: persi 5 mila posti di lavoro

(Venerdì 16 Settembre 2016)
Mazara - Negli ultimi 15 anni, secondo i dati dell' ultimo Rapporto dell' Osservatorio della Pesca del Mediterraneo, il numero di natanti da pesca a Mazara è passato dalle oltre 350 unità a 221, compresi quella della «piccola pesca».

Quelli di alto tonnellaggio, che vanno a pescare nei mari del Nord Africa, della Grecia e anche di Cipro, sono rimasti un centinaio. Si sono persi oltre 16 mila posti di lavoro in tutto il sistema pesca siciliano, di cui ben 5 mila, escluso l'indotto, nella sola Mazara del Vallo.

La stazza, che è quella che conta in materia di contributi e finanziamenti da varie fonti, è passata da 231.185 grosso tonnellaggio a 164.446 grosso tonnellaggio.

Con la crisi gli armatori hanno fatto a gara per la demolizione del proprio natante perché c’erano da pagare i debiti con le banche e i mutui per le case. L’unione Europea ha favorito le demolizioni pagando fior di euro in base al tonnellaggio del natante ma l ’equazione: demolizione uguale riduzione sforzo di pesca è risultata un’equazione errata e certamente non coerente con i principi comunitari. Si sono cercate e si cercano vie d’uscita per risollevare il settore. Nel mese di marzo del 2006 è nato il primo Distretto Produttivo della Pesca, che includeva l’intera provincia di Trapani, ma di cui Mazara copre il 60% del volume globale, potendo contare sul porto di pesca più importante d’Italia e su 30.000 tonnellate annue di pescato ed un centinaio di pescherecci nonostante la pesante crisi del settore, ha fatto passi avanti da gigante ed ha ormai una estensione regionale, potendo contare anche su aziende pescherecce delle altre principali marinerie siciliane. Può rappresentare una via d’uscita. Nel complesso sono già 176 le aziende aderenti al Distretto che fanno parte della filiera della pesca: cantieristica navale, frigoristica, produzione, trasformazione e commercializzazione del pescato; ma anche società di servizi e consulenza. Ed è nato un nuovo modello di economia sostenibile. Si chiama Blue Economy l’estrema evoluzione dell’economia attenta all’ambiente, un passo in più rispetto a quella “verde”. Si basa sull’uso di tecnologie ispirate al funzionamento della natura, e la trasformazione di ogni scarto di processo produttivo in una risorsa per un altro. Diversamente dalla green economy, non richiede alle aziende di investire di più per salvare l’ambiente: anzi, con minore impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi di reddito. L’obiettivo è creare un modello di sviluppo sostenibile ed esportabile, legato al trasferimento di know how e nuove tecnologie rispettando l’ ambiente. Il Distretto però non si ferma in Sicilia ma è raggiungere, con progetti di cooperazione e di partenariato, un modello da esportare in altri paesi del Mediterraneo, del nord Africa e del medio Oriente dove guerre e povertà stanno creando ogni giorno un esodo inarrestabile verso l’ Europa. Un modello di sviluppo che vada oltre quello ittico, provato dal depauperamento degli stock ittici, e tocchi i settori della trasformazione agroalimentare, della cantieristica e del manifatturiero in generale. E nasce l’ Expo dei distretti agroalimentari Blu Sea Land che prevede l’ adesione di molti Paesi mediterranei, un laboratorio socio-economico dove sperimentare temi e progettualità propri che si svolge ogni anno tra Palermo e Mazara del Vallo, una città quest’ultima già laboratorio di integrazione e pacifica convivenza tra siciliani e tunisini. Ma l’orizzonte si allarga ed ora il Distretto vuole creare un “Macrosistema del Mediterraneo” che faccia parte del sistema socio-economico della Blue Economic Zone. In definitiva, una coesione mediterranea che emerga dall’intesa e dal dialogo tra soggetti locali e di settore, anche a livelli regionali e sub regionali, con lo scopo di avviare una produzione attenta all’ecosistema e di minor impatto ambientale, capace di valorizzare in maniera sostenibile le risorse del mare. Un Distretto che, per le sue finalità ed i suoi progetti ha messo insieme soggetti fra di loro assai diversi: imprese, istituzioni pubbliche e private, enti di ricerca, tra cui il CNR, nella cui sede di Capo Granitola è nato un laboratorio curato dall’IAMC – CNR(Istituto per le attività marino - costiere che si prefigge di supportare le aziende del settore della pesca verso un uso consapevole dell’energia. Tra gli obiettivi, conoscere l’energia consumata e risparmiata e ridurre la produzione di rifiuti durante tutta la filiera ittica ma anche la realizzazione di un peschereccio ad alta tecnologia. Distretto ed Osservatorio attivi in Sicilia sono già stati coinvolti da organismi delle Nazioni Unite come U.N.D.P e Unifil in Libano, per realizzare un piccolo ma importante progetto nel porto di pescatori di Naqoura, al confine con Israele, in un territorio controllato da Hezbollah e caratterizzato da una consistente presenza di profughi palestinesi, nel tentativo di sviluppare le attività economiche per fare “arretrare” quelle militari. Lì nascerà un piccolo distretto della pesca simile a quello siciliano; così come è stato fatto a Bizerta in Tunisia, ad Alessandria in Egitto, così come è stato progettato a Shinas in Oman e a Bengasi in Libia.


[fonte: GdS - Salvatore Giacalone]