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Mazara. La Giornata della legalità della parrocchia S. Lorenzo

Bracconaggio e caccia scarsamente controllata a Mazara del Vallo

(Domenica 16 Settembre 2018)
In seguito all’abbattimento della giovane Capovaccaio, liberata da Matera dall’ISPRA (ex INFS di Bologna) e dal Centro Rapaci Minacciati (CERM) di Guido Ceccolini, attraverso i social è stata aperta una sterile polemica relativamente alla località in cui è stato commesso l’atto delittuoso. Un personaggio anonimo e, in
particolare, una persona conosciuta, si ostinano a sostenere che Mazara è indenne da simili atti visto che l’uccello è stato ammazzato altrove. A nulla è valso un commento contraddittorio per cui è da ritenere che il grosso pubblico meriti di essere meglio informato anche attraverso idonea documentazione fotografica. C’è da dire intanto che dalle nostre parti il bracconaggio non è praticato più come una volta e, comunque, non viene commesso solo con le armi da caccia, ma anche con una serie di mezzi e animali addestrati alla cattura, tipo: trappole di vario genere, cladodi (pale) di fico d’india compresi, reti, colle, archi, furetti, cani e falchi. Da noi, a praticarlo sembrano essenzialmente coloro i quali avranno bisogno di riempire la pentola se è vero, come è vero che tutti i bracconieri dei quali si ha notizia, oltre a non essere nostri connazionali, cercavano pesci o uccelletti di cui cibarsi.



Le reti vengono usate essenzialmente a Capo Feto e alla laguna di Tonnarella o Colmata B, mentre nasse, bastoni, sacchi di iuta e cani ai laghetti Preola. Ai laghetti Preola, tracce di sangue, accanto alle spine degli istrici, avevano fatto sospettare atti di bracconaggio, fino a quando non sono stati raccolti (vedi foto con Piero Palermo e istrice squartato), più di una volta, i resti dell’animale sbranato dai cani che di solito lo lasciano al conduttore, munitodi sacchi e bastone. Sparare oggi alla fauna selvatica protetta o cacciare, comunque, anche nei periodi non consentiti, più che atto di classico bracconaggio sembrerebbe un crimine che può continuare ad essere perpetrato da qualsiasi sparatore fintantochè Stato, Regioni, Ass. ni ambientaliste e venatorie non riusciranno a mettere in campo le forze che possano contrastare adeguatamente il fenomeno. Certamente la moderna Legge 68/2015, introduttiva dell’Art. 452/bis al C. P., costituisce un grosso deterrente, ma se non c’è chi adeguatamente riesce a farla rispettare o se le forze addette alla vigilanza e ai controlli, per un motivo o per un altro, si trincerano nello scarica barile quando qualcuno ne chiede l’intervento, finisce con l’assomigliare alla famosa favola di Fedro “Le Rane vogliono un Re”. Sia il bracconaggio, sia la caccia mal controllata, arrecano “danno ambientale” (L. 68/2015) per cui tutti, nessuno escluso, figurarsi gli addetti ai lavori, a norma dell’Art. 3/ter del D.Lgs. 4/2008 (modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 152/2006 – Codice dell’Ambiente) dovremmo essere impegnati nella tutela dell’Ambiente (come avviene nelle nazioni più civili d’Europa senza la quale probabilmente non avremmo le attualileggi ambientali), quindi, degli ecosistemi e delle specie animali e vegetali che li compongono. Così continuando a Petrosino o a Mazara o a Campobello di Mazara avremo sempre capovaccai monitorati abbattuti; cicogne, come quella della fotografia a seguire, impallinata al Pantano Leone; rapaci notturni, come il barbagianni di cui alla fotografia realizzata al lago Preola, sparati e lasciati marcire sul posto; fenicotteri, probabilmente scambiati di notte a Capo Feto per anatre o per gru, presi comunque a schioppettate.



Per non parlare della rarefazione della Quaglia oggetto di incessante caccia con i richiami acustici elettronici, ma questa è un’altra storia meritevole di un’ altra narrazione.

Enzo Sciabica.