Il martirio dei beati Rosario Livatino e Pino Puglisi, implicitamente, testimonia alla stessa Chiesa che tanti cristiani –ministri ordinati, religiosi e laici – vivono nelle nostre comunità in fedeltà e santità, che forse andrebbero, meglio e di più, cercati, valorizzati, ascoltati, responsabilizzati.
Potrebbe succedere, infatti, di lasciarsi abbindolare da coloro che si propongono con effetti speciali e con metodi altisonanti, strumentalizzando il Vangelo per fini subdoli e personali, e di lasciare nell’ombra tutti coloro che con fatica e dedizione iniziano “processi di conversione”, senza occupare spazi di potere.
Oggi, per la Chiesa la sfida è di non ridurre questi due “Veri cristiani” ad una reliquia, ad una immaginetta da venerare, ad una data da commemorare, ma assumerli come stile di vita ecclesiale e metodo pastorale.
La loro è una santità proponibile a tutti, perché “feriale”, “della porta accanto”, “della classe media”, che si realizza attraverso gesti quotidiani che fanno gustare il dolce sapore del Vangelo.
Essere cristiano, per Rosario Livatino, significa “essere credibile", non lasciarsi corrompere, rispettare fino in fondo la persona pur condannando il suo operato, analizzare con attenzione tutti gli elementi in gioco perché l’esercizio della giustizia non si trasformi in grossolana ingiustizia, cercare sempre e solo la protezione di Dio.
I due martiri sono per la Chiesa siciliana, e non solo, due "fari" che illuminano il sentiero che deve percorre nel terzo millennio, per essere credibile davanti a Dio e davanti agli uomini.
Don Giuseppe Alcamo