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Carlo Alberto Dalla Chiesa 41 anni dopo: «Ancora oggi la sua impronta nei successi contro la mafia»

«La mafia di oggi è diversa da quella del 1982. È sempre feroce ma sicuramente meno potente». Il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia – nel giorno dell’anniversario dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa – fa un parallelismo temporale sulla criminalità organizzata. Il magistrato non può che ricordare il grande debito che il sistema investigativo e giudiziario antimafia italiano ha nei confronti del prefetto ucciso in via Carini quarantuno anni fa. «Non c’è dubbio che i brillanti risultati che abbiamo ottenuto nei confronti di Cosa nostra negli ultimi decenni li dobbiamo ai metodi che hanno l’impronta del prefetto Dalla Chiesa», ribadisce il magistrato. Da quel metodo investigativo è nata anche la legge Rognoni-La Torre «che ha permesso con i sequestri e le confische di impoverire Cosa nostra». Il generale è una delle vittima di una «spaventosa stagione di sangue e morti ammazzati» che fortunatamente si è arrestata grazie all’intervento dello Stato.

La guerra

Ma la guerra non è stata vinta. Nemmeno ora che l’ultimo padrino stragista in circolazione è stato arrestato. De Lucia ha coordinato – assieme al procuratore aggiunto Paolo Guido – l’indagine del Ros che ha condotto a far scattare le manette a Matteo Messina Denaro, dopo tre decenni di latitanza. Il 16 gennaio 2023 è una data storica. Il procuratore di Palermo è autore assieme all’inviato di Repubblica Salvo Palazzolo del libro La Cattura edito da Feltrinelli. L’opera, in libreria da qualche giorno, fa rivivere dall’interno i passi che hanno portato ad assicurare alla giustizia Messina Denaro. Dal pizzino trovato a casa della sorella fino alle ricerche nel registro dei tumori. E poi il blitz davanti alla clinica La Maddalena di Palermo.

Matteo Messina Denaro è rinchiuso nel carcere dell’Aquila. Il boss che è stato condannato per le stragi del ’92 e del ’93, per il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, per l’assassinio dell’agente della polizia penitenziaria Giuseppe Montalto, nonostante il cancro non ha deciso di svelare i segreti che conosce. Negli interrogatori davanti ai magistrati di Palermo, Messina Denaro ha accettato di rispondere. Ma ha immediatamente ribadito la sua intenzione a non oltrepassare un determinato limite.

«La prima volta che ci siamo trovati faccia a faccia, poche ore dopo la cattura, ha detto: “Con voi parlo, ma non collaborerò mai” – racconta il procuratore de Lucia –. Gli ho risposto: “Ma io le ho chiesto di collaborare? Sono venuto qui solo per sapere come è stato trattato e poi, siccome sappiamo che lei è malato, voglio assicurarle che lo Stato le offrirà tutto ciò che è necessario per far fronte alle sue condizioni di salute”».

La storia della mafia

Il libro di de Lucia e Palazzolo evoca anche molti tasselli della storia della mafia siciliana -che poi sono la storia di questo Paese – cercando di ancorarla all’attualità. «Cosa nostra è meno potente ma da anni cerca di sopravvivere, riformando la cupola e la sua struttura di vertice. Il suo grande obiettivo è quello di tornare ad essere ricca», spiega de Lucia. E questa fame di ricchezza potrebbe essere colmata con i fondi del Pnrr. «È forse la sua ultima occasione per risollevarsi. Le imprese mafiose potrebbero cercare di accaparrarsi i grandi cantieri che saranno avviati attraverso i subappalti. Ma l’intelligence italiana è attrezzata per poter contrastare questo tipo di pericoli. Mai abbassare la guardia».

Non c’è potere senza denaro

Messina Denaro, oltre a essere un mafioso con la lupara, veste bene i panni del boss imprenditore che si siede allo stesso tavolo con i colletti bianchi. Magari oggi però gli equilibri sono cambiati. Prima la mafia era un potere con cui allearsi anche per paura, oggi ci sono motori diversi che alimentano il dialogo tra mafia e sistemi deviati. Ma per avere un peso specifico nella stanza dei bottoni non basta essere presente, è necessario essere potenti. E non c’è potere senza denaro. E come si fanno i soldi facili? De Lucia è convinto che la mafia siciliana stia cercando di guadagnare spazio nel traffico internazionale di cocaina proveniente dal Sud America. «Cosa Nostra ha capito che per tornare a essere potente come una volta deve diventare protagonista nel narcotraffico. I sequestri di tonnellate di cocaina a mare a Palermo e Catania sono la prova di come Cosa nostra stia cercando un collegamento diretto con i cartelli colombiani senza l’intermediazione della ‘Ndrangheta».

Un libro che racconta il lavoro dell’investigatore («non sono un investigatore emotivo», precisa De Lucia) e vuole lanciare una riflessione su dove sta andando la mafia. «È un libro che consiglio di leggere anche ai ragazzi non solo agli addetti ai lavori», chiosa il procuratore di Palermo.

Fonte: lasicilia.it di Laura Distefano