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La riflessione di don Giuseppe Alcamo: A trent’anni dall’uccisione di padre Pino Puglisi

Dobbiamo riconoscerlo, con coraggio e umiltà, se tutta la Chiesa siciliana, allora, avesse avuto lo stile e la logica di Pino Puglisi, coloro che “odiano la fede”, i mafiosi, non avrebbero potuto ucciderlo.

Anche se questo non significa che non vi fossero dentro le nostre Chiese altre figure radicali ed audaci come don Pino e con cui il beato interagiva e si confrontava, perché il cammino di piena fedeltà avviene sempre dentro la Chiesa e con la Chiesa.

Il martirio di Pino Puglisi, implicitamente, sta a testimoniare che tanti cristiani –ministri ordinati, religiosi e laici – vivono nelle nostre Chiese in fedeltà e santità, che forse andrebbero, meglio e di più, cercati, valorizzati, ascoltati, responsabilizzati.

Così come ci raccontano i Vangeli, i primi a riconoscere Gesù come “Santo di Dio” sono i demoni e gli indemoniati (Lc 4,34; Mc 1,24), paradossalmente, alla Chiesa la statura spirituale di Pino Puglisi è stata imposta dai mafiosi, cioè, da coloro che “odiano la fede”, che lo hanno riconosciuto come “Santo di Dio” prima di noi, per il suo stile semplicemente evangelico ed incarnato nei bisogni del territorio.

Oggi, per noi la sfida è non ridurre Pino Puglisi ad una reliquia, ad una immaginetta da venerare, ma assumerlo come stile di vita ecclesiale, metodo pastorale, immagine di Chiesa.

La sua è una santità “feriale”, “della porta accanto”, “della classe media”, che si realizza attraverso gesti quotidiani che fanno gustare il dolce sapore del Vangelo.

Padre Pino Puglisi ci testimonia che la santità è possibile, anche in contesti umani e sociali come quelli di Godrano o di Brancaccio, e consiste nel vivere l’ordinario in modo straordinario, cioè nella gioia e nell’amore, “sine glossa” direbbe San Francesco.

Don Giuseppe Alcamo