Vorrei rispondere a questo interrogativo, prima, mettendomi dalla parte del parroco, il che mi viene facile perché mi chiama in causa personalmente, esprimendo quindi i miei propositi. E, poi, dalla parte della comunità, che è chiamata ad accogliere questo nuovo presbitero, come fratello, amico e padre nella fede, declinando quindi quello che desidero dalla comunità di cui sono parroco.
Dalla parte del parroco.
Per un prete inserirsi dentro una comunità, con il ruolo di parroco, deve significare, innanzitutto, nutrire e coltivare una forma di venerazione o, per meglio dire, un affetto spirituale per tutte le persone che costituiscono l'Assemblea del Popolo di Dio, che settimanalmente si raduna per il grande rendimento di grazie.
Inoltre, imparare a guardare l’Assemblea eucaristica con gli stessi occhi di Dio, facendo loro sperimentare l’amore paterno di Dio. Dentro questa Assemblea, il presbitero deve essere segno di Cristo, che accoglie, perdona, si fa portavoce e nutre, spezzando il pane della Parola e dell'Eucaristia.
Ma anche, imparare a riconoscere i doni che Dio fa alle singole persone, per il bene dell’intera comunità. Guardare con gli occhi di Dio, significa individuare dentro la comunità coloro che Dio stesso chiama ad essere, per il bene di tutti, catechista, ministro della consolazione e del conforto dei malati, amico e sostegno dei più poveri, animatore della liturgia…
Per un prete, inserirsi dentro una comunità ecclesiale come parroco, significa avere occhi e cuore per vedere quello che in superfice non si vede, cioè, riconoscere coloro che Dio stesso sceglie per i vari servizi di cui la comunità ha bisogno, ed aiutarli a maturare la loro vocazione e a svolgere adeguatamente il servizio affidato.
Dalla parte del Popolo di Dio.
Accogliere un presbitero come parroco, per la comunità significa riconoscere quello che Dio stesso ha compiuto nella vita di quest’uomo, ponendolo a servizio dell’intero Popolo di Dio.
Non separare mai il suo servizio dalla sua persona, perdonandolo per le sue umane fragilità e aiutarlo sempre ad essere quello che è chiamato ad essere: uomo di Dio e della Chiesa.
Significa, inoltre, non appesantirlo con richieste inutili che potrebbero metterlo in difficoltà; ricondurlo sempre allo specifico della sua missione: annunciare Gesù Cristo come fonte di gioia e di vita piena, riconciliare con Dio e i fratelli, rendere grazie per tutto quello che Dio opera nel tempo e nella storia.
Significa, anche, camminare insieme con Lui, senza mai lasciarlo solo, anche quando la salita è dura e il tempo non è favorevole; venirgli incontro per affrontare le necessità concrete dell’intera comunità.
Tra il Popolo di Dio e il suo presbitero deve crearsi una relazione di comunione e di amicizia spirituale, che non confonda mai i ruoli e le responsabilità; imparare a pregare insieme, con il respiro della Chiesa, in attenzione ai segni dei tempi, con il passo del più fragile.
Sia il prete, sia tutti gli operatori pastorali sono accomunati da una sola chiamata/vocazione, che proviene da Dio stesso e che deve maturare dentro il grembo della Chiesa. Una chiamata al servizio gratuito, amorevole, generoso, competente.
Auguro, a me e a voi, con l’aiuto di Dio e con l’intercessione di San Lorenzo e di Santa Chiara, di poter vivere in questa prospettiva e con questa logica.
Vi aspetto domenica 10 settembre alle ore 19, 00 nella chiesa parrocchiale San Lorenzo.
Don Giuseppe Alcamo