Testo

🕘 |✉️ Contatti |🎓 Disclaimer |▶️ Mazara News YouTube |🎦 Ultimi Video |⚕️ Farmacie di Turno |

In Evidenza::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

Usura ed estorsioni, il Procuratore Aggiunto di Trapani: “Inaccettabile che nessuno denunci”

Darwin il naturalista

(Sabato 16 Febbraio 2019)
La storia naturale è darwiniana, perché il grande naturalista inglese è stato l’artefice dell’introduzione della dimensione storica nelle Scienze della Natura e conseguentemente della loro trasformazione concettuale da discipline eminentemente descrittive a Scienze interpretative della realtà fenomenica. Il Genio delle Scienze della vita, dal 19 aprile 1882 riposa nell’Abbazia di Westminster, in una tomba vicino al coro, a pochi passi dal sepolcro di Isaac Newton, il padre della Fisica classica; aveva sconvolto il mondo, dimostrando essenzialmente che concetti cardine nella cultura
universale, di fondamentale importanza esistenziale, possono provenire dallo studio naturalistico del reale e che l’allevamento di piccioni, lo studio dei lombrichi, dei Cirripedi o la collezione di coleotteri possono essere più efficaci dell’alta filosofia per l’approccio alle grandi ed assolute verità. Ritengo che valga la pena di ribadire questo concetto, peraltro poco dibattuto, dei fondamentali apporti di Darwin alla cultura universale, a prescindere dagli aspetti più o meno contestati o contestabili delle sue teorie prettamente biologiche; infatti, anche se in futuro le sue affermazioni potranno risultare superate (e questo nell’attività scientifica è fortunatamente la norma), egli rimarrà nella storia del pensiero universale come lo studioso che ha apportato dignità e profondità concettuale alle Scienze della Natura.

La ribellione filosofica contro l’essenzialismo ha radici profonde nel pensiero occidentale; ad esempio, in campo sociale, l’essenzialismo pensa allo stato in termini di “Idea trascendente” ed il cittadino esiste solamente allo scopo di rendersi utile alla società; la stessa organizzazione della società è giustificata su una base idealistica (il re governa per volontà divina). Un modo per disfarsi del vecchio ordine fu quindi quello di confutare gli argomenti metafisici che venivano usati per sostenerlo e ciò comportò il ripudio della dottrina delle essenze ed una riconsiderazione della natura della società sottolineando l’importanza dell’individuo; bisognava trattare le entità sociali non come manifestazioni di forme astratte ma come le conseguenze delle interazioni tra gli individui e ciò significava portare avanti un’indagine scientifica della società. Il ripudio delle “essenze” si manifestò in tutte le Scienze; ad esempio, per l’essenzialista la tavola periodica degli elementi era fondamentalmente un grande trionfo della classificazione.

Un gas nobile era tale per definizione, quindi non era necessario conoscerne i composti; la scoperta dello xeno tetrafluoride ed altri composti “impossibili” venne per questo ritardata. Il superamento dell’essenzialismo ha come conseguenze il fatto che in ogni sistema di classificazione, o legge di Natura, sia in Fisica sia in Chimica che in Biologia, v’è solamente una generalizzazione approssimativa della verità. Nella Scienza post-essenzialista, in campo chimico, si è sviluppato un interesse maggiore per le reazioni collaterali ed i sottoprodotti, così come in Biologia la nuova Sistematica è giunta ad interessarsi maggiormente alle varianti ”atipiche”, ignorate dalla vecchia Tassonomia.

L’essenzialista non comprende, ad esempio, il motivo per cui, in una collezione entomologica, sono presenti innumerevoli esemplari di una stessa specie piuttosto che soltanto uno o pochi; per lui, una collezione naturalistica è come una collezione di francobolli, un insieme di oggetti banali, senza storia, anzi tutta la Storia Naturale, nel suo complesso, è essenzialmente una cosa banale, priva di spessore concettuale, quasi solamente una curiosità. Se le cose non stanno in questi termini, il merito è eminentemente di Darwin, colui che diede una dimensione storica alla Natura, che da impassibile ed immobile scenario da allora divenne soggetto ed oggetto di storia, realtà in perenne movimento artefice del destino della specie umana.

Ogni biota e tutta la Biosfera, sono unici ed irripetibili, realtà di ben altra natura rispetto alle classi di oggetti identici presi in considerazione dalle Scienze dell’inorganico; per essi quindi, come si è già ribadito, non possono essere valide le leggi statistiche della Meccanica né si possono azzardare a cuor leggero previsioni matematiche; per i fenomeni biologici devono essere scoperte delle altre leggi e forse deve essere formulata una nuova Matematica. Così come la ”nobiltà” dei gas è un problema di gradi, l’inclusione in una razza biologica prevede l’esistenza di popolazioni transizionali, nelle quali ogni carattere si manifesta in una quasi infinita gamma di sfumature; questa è la realtà che noi percepiamo in natura e contemplando le collezioni naturalistiche e questa realtà ci commuove fin quasi alle lagrime: è la poesia della natura vivente.

L’eccezione trascurata dagli essenzialisti di platonica ed autoritaria formazione, è la regola della Biologia post-darwiniana, democratica e figlia della borghesia ma che va oltre la società borghese perché anela al perseguimento dei grandi ideali trascendentali che sono stati e rimangono le aspirazioni degli uomini di tutti i tempi: rispondere ai grandi quesiti esistenziali che tutti da sempre ci poniamo.

Il ruolo di Darwin in questa rivoluzione è stato largamente ignorato dagli storici e dai filosofi e perfino i biologi hanno avuto difficoltà a cogliere fino in fondo l’importanza del suo lavoro per la cultura universale. Il sommo naturalista inglese era pienamente consapevole di quanto sarebbe stato difficile dimostrare, attraverso l’osservazione dei processi che avvengono in natura, l’origine delle nuove specie, in quanto il processo, così come egli lo immaginava, doveva richiedere un lungo periodo di tempo.

Noi studiosi contemporanei non abbiamo più questo problema, dato che la produzione di nuove specie in laboratorio (con processi che sappiamo avvengono in natura) è un lavoro quasi quotidiano così come molto spesso verifichiamo nel lavoro sul campo processi di speciazione che avvengono rapidamente ad esempio mediante il fenomeno della poliploidia (in particolare in alcuni vegetali). Infatti, non è infrequente tra le piante, l’osservazione che serie di specie dello stesso genere presentino numeri cromosomici corrispondenti a diversi multipli di uno stesso numero di base; esempi eloquenti sono dati dalle varie specie di Triticum con 14,28 o 42 cromosomi e di Sorghum con 10, 20 e 40 cromosomi. Queste serie sono denominate: serie poliploidi; inoltre, il fenomeno della poliploidia è molto diffuso nel regno vegetale ed è stato calcolato anzi che almeno 1/3 delle specie delle angiosperme sono poliploidi.

Dal punto di vista della formazione di nuove specie, l’allopoliploidia ha conseguenze più importanti dell’autopoliploidia. Un allopoliploide si forma per autoduplicazione del corredo cromosomico di un ibrido più o meno sterile; un tale ibrido si può originare anche dalla fusione di gameti di specie diverse o persino di generi diversi. A causa della duplicazione del corredo ibrido, ogni cromosoma dà origine ad una coppia di perfetti omologhi, il comportamento dei cromosomi alla meiosi risulta regolare e così la nuova entità poliploide viene ad essere perfettamente fertile e riproduttivamente isolata dalle due specie generatrici. In diversi casi è stato dimostrato senza alcun dubbio possibile che una specie vegetale deriva i suoi cromosomi dall’addizione dei cromosomi di due diverse altre specie.

Il caso della genesi spontanea, in tempi storici, di una nuova specie per mezzo dell’allopoliploidia è stato ricostruito da C. L. Huskins per la Spartina towsendii, pianta erbacea comparsa in Inghilterra intorno al 1870 e rapidamente diffusasi sulla costa meridionale inglese e su quella settentrionale della Francia. Questa specie è nata nella regione di contatto tra le due specie: Spartina stricta (2n=56) di origine europea e Spartina alterniflora (2n=70) di provenienza americana e conta 126 cromosomi (somma aritmetica di 70 e56); essa ha caratteri intermedi tra le due specie di origine e costituisce una dimostrazione eclatante di origine di una nuova specie in Natura in tempi brevissimi.

La graminacea del genere Spartina, dunque, da ragione a Darwin per quello che concerne la realtà del processo evolutivo, ma a differenza di quanto opinava il naturalista britannico, evidenzia un’origine rapidissima nel tempo tanto da essere evidenziabile con i metodi della Neontologia e non (come avviene più di sovente), con quelli della Paleontologia. L’allopoliploidia quindi, determina la formazione di nuove specie o generi non per graduale divergenza da una specie ancestrale, ma per brusca convergenza di 2 specie già riproduttivamente isolate ed è un processo di quasi subitanea origine di una nuova specie ben diverso dal gradualismo darwiniano, la cui genesi, com’è noto dalle innumerevoli biografie di Darwin risale all’attualismo di Charles Lyell, dogma che da più di 150 anni ha imperato nelle Scienze Geologiche.

Oggi noi sappiamo che vi sono altri meccanismi che provocano la rapida speciazione; basta soltanto accennare alle 4 specie di Cyprinodon, pesci che si rinvengono in piccole ed isolate pozze di acqua dolce della Valle della morte, diversificatisi in poche decine di migliaia di anni nel corso delle glaciazioni pleistoceniche o alla colonizzazione di isole oceaniche accompagnata dalla rapida formazione di specie, generi ed anche famiglie nuove, che devono naturalmente essere posteriori all’età di formazione dei rispettivi habitat. Ad esempio, l’habitat di Cyprinodon nevadensis si prosciuga completamente in estate, per cui la popolazione di tale pesce si ritira in alcune sorgenti perenni.

Il più piccolo dei Cyprinodon, il Cyprinodon diabolis, si trova solo nel Buco del diavolo, una sorgente termale sita sul fianco roccioso di un monte; questo pesce è sopravvissuto in questo ambiente spazialmente limitatissimo, alla temperatura di 33°C. per almeno 33000 anni e si è evoluto in maniera molto caratteristica, essendo in grado di sopravvivere a temperature comprese tra 6 e 43°C; ciascuna popolazione delle varie specie di ciprinodonti è il risultato irriproducibile di un certo periodo di evoluzione prodotto da migliaia di anni di selezione naturale in ambienti precari e marginali, alcuni dei quali non molto più grandi di una vasca da bagno.

Le popolazioni attuali di questi ciprinodonti discendono da un pesce ancestrale che un tempo aveva una distribuzione più ampia e continua; poi, ad intervalli nel corso delle glaciazioni succedutesi tra 30000 e 10000 anni fa, il clima della parte sudoccidentale dell’America Settentrionale, divenne molto più freddo ed umido di oggi. A quel tempo, la Valle della Morte era ricoperta da una grande massa di acqua dolce, il lago di Manly, alimentato da alcuni fiumi e numerosi torrenti. L’antenato dei Cyprinodon del deserto senza dubbio occupava la maggior parte del bacino imbrifero a cui apparteneva il lago; poi sopravvenne un clima più caldo e secco, per cui la maggior parte dei corsi d’acqua scomparve, lasciando alcune popolazioni isolate di Cyprinodon sopravvissute fino ai giorni nostri nelle oasi in cui l’acqua non è mai venuta a mancare. Così isolate, le popolazioni originarie si sono evolute in 4 specie distinte ed alcune sottospecie (radiosus, nevadensis, diabolis e salinus); ecco un dato di fatto, tra gli innumerevoli conosciuti, molto difficile da spiegare senza l’ausilio del metodo e della concezione darwiniana della vita, un fatto che trova la sua coincidenza con tantissimi altri, con i quali rimarrebbe senza spiegazione prescindendo dalla visione evoluzionistica della Biosfera.

Alle Hawaii vi sono parecchie specie di falene del genere Hedylepta che si nutrono esclusivamente di foglie di banano; tutte le altre specie hawaiane di questo genere si nutrono di graminacee, ciperacee, liliacee, leguminose e palme. La cosa straordinaria è che i banani vennero introdotti nelle isole Hawaii dai polinesiani un migliaio di anni fa (quindi in tempi storici), per cui, di conseguenza, Hedylepta ha dovuto subire una speciazione multipla durante questo breve periodo, originando specie che si nutrono esclusivamente sui banani; inoltre, ognuna di queste specie è confinata in una o due isole soltanto, in quanto, trattandosi di specie di origine recentissima, non sono ancora uscite dalla loro zona d’origine.

Ancora alle isole Hawaii, un altro esempio di speciazione molto veloce è quella dei Drepanidi, uccelli discesi da antenati simili ai fringuelli che mostrano una straordinaria varietà di becchi, analogamente a quanto darwin notò nei famosi” fringuelli di Darwin” delle Galapagos. Le isole Hawaii, come le Galapagos, sono formazioni vulcaniche recenti; le Galapagos, complessivamente hanno meno di 3 milioni di anni, mentre, per quanto riguarda l'arcipelago hawaiano, Kauai, la più occidentale delle grandi isole è anche la più antica con 5 milioni e mezzo di anni, Hawaii, la più orientale, è anche la più giovane, con solo750000 anni. Un certo numero di specie di drepanidi è endemico nell’isola più giovane o lo era prima di estinguersi e ciò significa che la radiazione adattativa di questa famiglia si è verificata molto di recente. In effetti, fossili raccolti da Olson e James, della Smithsonian Institution, indicano che gran parte della speciazione ha avuto luogo durante l’ultima fase dell’Epoca glaciale. Di recente, le Hawaii sono state testimoni inoltre di una straordinaria radiazione adattativa dei Drosofilidi; infatti l’arcipelago è popolato da circa 800 specie di Drosophila, un buon numero delle quali si è evoluto nella più giovane di questo gruppo di isole.

Chiaramente, gli antenati di molte piante ed animali endemici delle Hawaii, sono arrivati su queste isole dal continente, ma qui si sono diversificati ed evoluti, adattandosi alle condizioni locali. Benché la selezione naturale non abbia promosso direttamente l’isolamento riproduttivo tra le specie in evoluzione nelle isole e le specie rimaste nel continente, l’isolamento riproduttivo di molte di queste specie si è cionondimeno completato.

Darwin non era certamente uno scienziato spregiudicato ed anche se le sue concezioni sono estremamente rivoluzionarie, l’aderenza ai fatti e l’estrema coerenza sono le caratteristiche che contraddistinguono il suo lavoro scientifico. Molti studiosi hanno voluto vedere nelle sue opere, il riflesso della società vittoriana del tempo, in bilico tra tradizione e rinnovamento economico-sociale, per cui la lentezza dei processi evolutivi è stata messa in parallelo con l’auspicabile ma lenta ascesa al potere delle classi subalterne; in realtà Darwin fu e volle sempre rimanere un naturalista che cerca la verità esclusivamente nelle leggi della Natura e cercò di evitare sempre di essere coinvolto nelle beghe politiche o nelle sterili disquisizioni filosofiche fini a se stesse. Infatti, quando Karl Marx gli inviò una copia del suo famoso “Capitale”, con l’intenzione di dedicarglielo, egli prudentemente e molto saggiamente rifiutò; probabilmente sapeva fin troppo bene che la politica come ogni falsa scienza, non può che avere ripercussioni negative su ogni libero pensatore che, con onestà intellettuale e rigore morale si dedichi alla conoscenza dei sacrosanti principi naturali che stanno (questi si) alla base della vita dell’uomo e che costituiscono il presupposto indispensabile all’ordinato funzionamento dell’Universo.

Una delle indicazioni più probanti, per quanto riguarda la rapidità dei processi evolutivi, almeno in alcuni casi, è quella delle 5 specie di ciclidi del lago Nabugabu, separatosi dal lago Vittoria circa 4000 anni fa; queste 5 specie sono sconosciute altrove, compreso nelle acque del lago Vittoria e ciascuna di esse assomiglia ad una specie del lago originale. Quindi, evidentemente, piccole popolazioni delle specie madri del lago vittoria sono rimaste intrappolate quando una lingua di sabbia ha isolato il Nabugabu e da allora si sono trasformate in nuove specie ; i 4000 anni di età del lago stabiliscono il periodo massimo per l’origine di queste specie uniche, originatesi in tempi storici, per così dire, sotto gli occhi dell’uomo.

La stessa fauna costituita dai ciclidi del lago Vittoria (170 specie) è una fauna di origine recente, essendosi il suddetto lago formato solo 750000 anni fa; finora tutte le 170 specie di ciclidi sono state lasciate nel genere ancestrale Haplochromis, ma, in base alle divergenze di forma e comportamento, andrebbero suddivise in un certo numero di generi (evoluzione sopraspecifica). Il genere Cerion è un importante genere di chiocciole terrestri delle Indie Occidentali che si ritrova specialmente in due centri: Cuba e le Bahamas, del quale i vecchi naturalisti denominarono circa 600 specie; invece, dal punto di vista biologico, solo poche si possono veramente considerare specie, essendo popolazioni distinte incapaci di ibridarsi.

In qualche modo, Cerion cerca di generare la sua notevole diversità di forme senza dividere le proprie popolazioni in specie vere e proprie; esiste in questo genere, quindi, una grande diversità di forme non accompagnata da una grande varietà specifica. In questo modo, il genere in oggetto, permette di vedere a fondo uno dei problemi più difficili e più importanti dell’evoluzione; cioè come possono comparire forme nuove e complesse se ciascuna forma ha bisogno di migliaia di cambiamenti separati e se gli stati intermedi non hanno molto senso come organismi funzionanti.

In Cerion abbiamo un esempio eloquente di come forme macroscopicamente diverse possano in realtà appartenere alla stessa specie, ma nella storia Naturale non è raro nemmeno il fenomeno opposto, cioè quello di forme fenotipicamente simili ma appartenenti in realtà a specie diverse; tutti fenomeni inspiegabili senza il filo conduttore evoluzionistico di matrice darwiniana, che, come abbiamo visto, nella risoluzione dei “piccoli enigmi” trova la chiave più efficace per aprire le grandi porte dei misteri più esistenziali e profondi. Ma forse l’elemento più utile per capire le idee di Darwin ed il profondo significato del suo messaggio culturale, a prescindere dagli slogan più o meno popolari e folcloristici è lo studio dei suoi scritti di Tassonomia; infatti, senza l’approccio tassonomico, la Storia Naturale degenera in direzione della sterile e verbosa filosofia. Per Louis Agassiz (1807-1873) le specie erano categorie di pensiero e l’evoluzione non era possibile perché le categorie di pensiero dovrebbero essere immutabili ed eterne.

Carlo Linneo, invece, era un aristotelico e credeva che le “classi” erano reali e non v’era dicotomia tra l’ordine naturale ed il sistema di classi che esprime tale ordine; la realtà delle classi implica che esse sono distinte ed immutabili, per cui, il fine della classificazione è ridotto alla scoperta dell’ordine che ne sta alla base e la definizione è considerata il fine ultimo di tutta la classificazione. Ancor oggi, ho ascoltato eminenti docenti universitari e ricercatori, esprimersi nei confronti delle Scienze Sistematiche e Naturali, come se si trattasse di discipline eminentemente descrittive e di second’ordine rispetto alle discipline riduzioniste, squisitamente interpretative e razionali, ma più di una volta ho avuto la sensazione che questi illustri studiosi in realtà ricusassero la Sistematica e la Tassonomia in funzione della loro “difficoltà” oggettiva, ovvero per la loro complessità olistica intrinseca.

In altri casi invece, risultava evidente l’incomprensione di fondo di uno dei concetti più importanti apportati dall’evoluzionismo alla cultura biologica moderna; cioè classificazione come ricostruzione genealogico-filogenetica dei singoli taxa, ovvero spiegazione della Biodiversità e della complessità a prescindere dei relativamente semplici schemi informatici e biochimici di base, comuni a quasi tutti i viventi (con qualche eccezione per gli Archaea, alcuni virus, ecc.).

Darwin infatti, nell’Origine delle Specie, afferma che la nostra capacità di raggruppare gli organismi in una gerarchia è una conseguenza del loro rapporto genealogico o affinità di origine, equiparando così la classificazione naturale con il rapporto genealogico degli organismi; prima di Darwin, invece,” naturale” era definito solamente un sistema di classificazione basato su premesse metafisiche commiste a criteri arbitrari. Un grande pensatore, quale Darwin fu, rivoluzionò completamente fin dalle fondamenta l’intera cultura umana, non trattando argomenti eterei di filosofica o teologica sostanza, ma esaminando oggetti naturali, collezionandoli e dedicando loro tutto il tempo che i suoi predecessori filosofi avevano dedicato alla speculazione trascendentale. Se infatti è vero che l’Origine delle Specie tratta essenzialmente il problema Cosmologico, non può analogamente essere trascurato il fatto che il sommo naturalista britannico dedicò otto anni della sua vita a scrivere una monografia sui Cirripedi, un gruppo di artropodi pressoché sconosciuto al grande pubblico e scrisse altre opere di Botanica e Zoologia che ancor oggi un uomo della cosiddetta cultura contemporanea non giudicherebbe degne di figurare in una biblioteca fornita delle opere più essenziali mai concepite dall’ingegno umano. Certo, Darwin non era uno stupido né uno sprovveduto perdi tempo, anzi, ogni suo scritto ha un ruolo importantissimo per capire fino in fondo la portata della sua rivoluzione culturale, tra le più grandi e profonde mai effettuate da un singolo pensatore.

Ritornando alla “ Monograph on the Sub-class Cirripedia”, Darwin scelse d’includere i cirripedi tra i crostacei, perché nonostante questi avessero drasticamente alterato la loro morfologia e vivessero in maniera del tutto diversa degli altri membri della loro classe, analizzando attentamente la loro anatomia, fisiologia ed embriologia, veniva alla luce distintamente la loro origine; egli, come abbiamo detto, dedicò otto anni a riesaminare la classificazione di un gruppo estremamente vario, quando aveva già sviluppato la sua ipotesi evoluzionista, per cui anche questo lavoro apparentemente specialistico ed esclusivamente sistematico, è in realtà un trattato di filosofia esistenziale che suona ad inno di lode verso la concezione dinamica e trasformista di un Cosmo in perenne movimento in cui gli esseri umani non hanno nulla di speciale se non una strategia evolutiva peculiare, al vaglio della selezione naturale.

La Monografia sui Cirripedi, rimase per lungo tempo uno dei modelli migliori in campo tassonomico; in quest’opera Darwin, infatti, mostrò in che modo, in differenti gruppi di Cirripedi un modello fondamentale equivalente nella copertura esterna, venga modificato in maniere differenti. Egli dimostrò che in certe forme, alcune delle lamine si sono fuse o alterate, anche se le posizioni relative sono rimaste invariate.

Nel momento in cui Darwin si mise a lavorare su questo gruppo, era diventato chiaro che un cirripede è un crostaceo con curiose deviazioni rispetto agli altri crostacei, poiché un adulto cimentato a qualche superficie, presentava lamine esterne del tutto differenti da qualunque organo presente negli altri crostacei ed una struttura tanto peculiare da rendere l’identificazione delle parti molli molto incerta. Ma, prescindendo dalle specializzazioni morfologiche, le larve dei cirripedi somigliano a quelle degli altri crostacei; infatti, come scoperto da Vaughan Thompson, essi passano dapprima attraverso un caratteristico stadio pelagico di nauplius, munito di lunghe punte o spine, il quale si trasforma quindi nello stadio di cypris, provvisto di un guscio bivalve, come gli Ostracodi. Questo si fissa poi con le antenne anteriori ad un substrato per mezzo di ghiandole adesive; i cirripedi sono per lo più ermafroditi e tra questi si hanno frequentemente maschi nani cipridiformi detti maschi complementari, che vivono parassiti sugli individui parassiti. Ad esempio, gli Apodi mancano di mantello e di arti; l’unico rappresentante di essi è Protolepas bivincta, descritto da Darwin e trovato parassita sul cirripede toracico Heterolepas, nelle Indie Occidentali.

Un altro gruppo di Cirripedi, i Rizocefali, hanno subito una trasformazione ancora più radicale; infatti, a causa della vita parassitaria di questi organismi, il loro corpo è ridotto ad una massa informe che si prolunga all’interno dell’ospite con ramificazioni radicolari; essi hanno perso ogni traccia di arti e di apparato digerente, ma subiscono una metamorfosi attraverso gli stadi di nauplius e cypris, tradendo così la loro ben celata origine. I Rizocefali vivono parassiti sull’addome dei decapodi, nei quali possono determinare la castrazione parassitaria e l’inversione sessuale (basta ricordare come esempio, Sacculina carcini, parassita su Carcinus maenas). Dei 5 ordini appartenenti alla sottoclasse Cirripedia (Toracici, Acrotoracici, Ascotoracici, Apodi e Rizocefali), lepadi e balanidi (Toracici) sono di gran lunga quelli più conosciuti dal grande pubblico; gli altri Cirripedi sono degli emeriti sconosciuti ai più e sicuramente l’uomo sprovvisto di cultura scientifica non potrebbe mai sospettare che esseri tanto apparentemente insignificanti, hanno avuto un ruolo determinante nell’orientare l’intelletto di un grande scienziato verso orizzonti completamente nuovi nella storia del pensiero universale.

Credo di poter affermare con sicurezza che pochi giovani terminano le scuole superiori ed accedono all’Università consci dell’importanza che la Monografia dei Cirripedi, opera apparentemente minore di Charles Darwin, ha avuto nella storia del pensiero! Le opere di Sistematica biologica non sono facilmente accettate e capite nemmeno nel mondo accademico; temi eclatanti, magniloquenti, politicizzabili o con ripercussioni filosofiche evidentissime, possono far scalpore, ma un elenco carabidologico di una regione, la revisione di un gruppo sistematico o la scoperta di una nuova specie di Osmoderma nella fauna paleartica-occidentale, a volte fanno sorridere con malcelato atteggiamento di stentata sufficienza, anche studiosi seri e preparati. Eppure questi apparentemente umili apporti al grande edificio della conoscenza scientifica, costituiscono il nerbo e la sostanza della Storia Naturale e la Storia Naturale ha cambiato la cultura umana più di quanto in diversi millenni abbiano potuto fare filosofi, letterati o artisti. Esistono al mondo, al meno 720 specie di cirripedi, ma se si conducesse un’inchiesta a vasto raggio su questa sottoclasse di artropodi, ben pochi, ritengo, potrebbero andare più in la di poche frasi.

Il nome della sottoclasse, Cirripedia, deriva dal fatto che le appendici, proiettate fuori dal carapace rassomigliano a dei cirri; si tratta di animali esclusivamente marini, per lo più di ambiente costiero, soprattutto della zona intercotidale e per questo rivestono una grande importanza paleoecologica, accompagnata per contro da uno scarso significato stratigrafico, quantunque siano comparsi sin dal Giurassico.

La loro classificazione paleontologica si basa sulla morfologia esterna delle singole placche, corredata da opportune indagini sulle strutture interne delle placche stesse, studiate in sezioni sottili orientate. La famiglia Balanidae (Cirripedi sessili) è distribuita dal Giura all’attuale, mentre i Lepadidae (peduncolati), è rappresentata nella documentazione fossile dal Pliocene in poi. Darwin cominciò a lavorare sui Cirripedi nell’ottobre del 1846 e dopo 8 anni d’intenso studio pubblicò 2 grossi volumi che contengono la descrizione di tutte le specie viventi fino ad allora conosciute nonché 2 volumi più piccoli sulle specie estinte di questo gruppo.

Questo lavoro, come Darwin stesso affermò nella sua “Autobiografia”, ha una grande importanza in quanto revisione sistematica di un raggruppamento tassonomico male studiato e male interpretato prima d’allora, ma soprattutto costituisce un’applicazione pratica dell’ottica evoluzionista al lavoro rutinario ed importantissimo della classificazione dei viventi; infatti, oltre alla descrizione di diverse forme nuove ed interessanti, Darwin contribuì a chiarire le omologie delle varie parti che formano la struttura dei cirripedi, scoprendo il loro apparato adesivo e dimostrando l’esistenza, in alcuni generi di piccoli maschi complementari e parassiti degli ermafroditi. Quando il grande naturalista inglese dovette discutere i principi della classificazione naturale nell’Origine delle Specie, il suo saggio sui cirripedi gli risultò molto utile per le sue argomentazioni; Charles Darwin è abbastanza conosciuto al di fuori del mondo scientifico, specialmente per quello che non ha mai asserito (l’uomo discende dalla scimmia, eccetera) e non molti, anche nella piccola cerchia degli addetti ai lavori, si rendono conto che l’enorme valenza concettuale del suo pensiero si rileva ancora di più, nelle sue opere meno conosciute, a torto considerate spesso opere minori. Sta proprio nel nuovo approccio ai problemi naturalistici la sua chiara indicazione, segnalata con la forza delle sue logiche argomentazioni, del grande, unico ed insostituibile apporto culturale evoluzionistico alla conoscenza universale; con le sue opere sui Cirripedi, barriere coralline, fecondazione nelle Orchidee, lombrichi eccetera, Darwin c’insegna, in maniera chiara ed incontestabile che dallo studio attento della Natura l’uomo può portare alla luce grandi verità esistenziali, quelle stesse che per millenni ha cercato in vano nei vacui, tronfi aleatori mondi della filosofia astratta e delle lettere.

Il mondo della Natura ed incluso il mondo dello spirito si dischiudono all’umana ragione con l’ausilio della ricerca scientifica ed una monografia naturalistica, fatta con l’umile, disincantato, certosino lavoro sul campo, può essere più gratificante per lo spirito umano di un romanzo ben narrato, una poesia ricca di rombanti quanto vacui vocaboli o l’interpretazione di testi sacri, che spesso di sacro hanno ben poco perché sempre scritti dall’uomo e tutto ciò che l’uomo interpreta più che di sacro sa di profano. La monografia sui cirripedi di Charles Darwin, come tutti gli altri suoi scritti apparentemente soltanto d’importanza naturalistica, vuole dimostrare essenzialmente due cose: A) Le omologie indicano un concetto profondo, cioè parentela degli esseri viventi che le evidenziano; B) L’evoluzione biologica non opera come un ingegnere od un grande progettista, ma si limita a rimodellare parti usate per altri fini, ricicla ed utilizza alla meglio strutture che non erano state ”previste” per quello scopo, per cui dobbiamo osannare proprio l’imperfezione, l’errore, l’eccezione e cambia quindi profondamente e completamente la nostra visione cosmica dell’universo e della vita.

Chi non ha capito queste cose non ha recepito l’intimo significato del messaggio darwiniano e non può conseguentemente apprezzarne il suo enorme significato e le sue eclatanti ripercussioni su tutti i campi della cultura. La monografia sulla sottoclase dei Cirripedi è la sostituzione di una morfologia “induttiva” e formalista con un’Anatomia Comparata ipotetico-deduttiva; il genio di Darwin non si manifesta immediatamente nelle sue opere tassonomiche, in quanto il suo pensiero non è comprensibile senza la conoscenza specifica degli oggetti naturali in studio, ma quando si coglie il pieno significato dell’opera, la “Monograph” risulta del massimo interesse in quanto rappresenta un’innovazione nelle metodologie dell’Anatomia Comparata. Analogamente, l’opera di Darwin del 1862: “On the various contrivances by wich British and foreign Orchids are fertilized by insects”, spiega in qual modo le parti delle orchidee sono disposte così da facilitare il trasferimento del polline ad opera degli insetti.

L’autore dimostrò che tali adattamenti sorsero attraverso la modifica di qualche parte preesistente, cosichè una struttura che originariamente svolgeva una determinata funzione, finisce per fare qualcosa di completamente diverso e non collegato alla funzione originaria. Questa asserzione, conseguente all’analisi naturalistica è come abbiamo già visto, d’importanza enorme, sia nel campo della Storia Naturale, sia in campo esistenziale, perché afferma che le strutture degli esseri viventi non sono state costruite avendo in mente il fine di svolgere il loro attuale ruolo biologico, ma piuttosto si sono originate come parti adattate a funzioni del tutto diverse rispetto a quelle di origine. Aristotele non comprese l’intera struttura dell’Universo fisico ed insinuò nella struttura del pensiero occidentale la premessa fondamentale secondo cui la funzione comporta uno scopo, proprio a causa dell’incapacità di distinguere tra funzione e scopo; quest’errore aristotelico inficia il nostro ragionamento ancor oggi, quando vediamo nelle strutture viventi la perfezione degli adattamenti piuttosto che l’arrangiamento delle strutture disponibili originariamente svolgenti funzioni ben distinte.

La differenza è sostanziale e rappresenta uno degli apporti più essenziali del darwinismo alle Scienze Biologiche ed al pensiero umano nella sua interezza. Che mutazioni casuali, al vaglio della selezione naturale, possano simulare un progetto intelligente, non è affermazione di poco conto; a più di 100 anni dalla morte di Darwin, la portata estremamente rivoluzionaria del suo messaggio, non si può dire che sia stata ancora assimilata dal pensiero umano e le concezioni darwiniste, più o meno mistificate nella sostanza, continuano a rappresentare delle mine vaganti pronte ad essere strumentalizzate da gente di pochi scrupoli, specialmente in campo sociologico e politico.

L’Universo e la vita si sono evoluti e quest’evoluzione ha prodotto delle reali novità; la storia dell’evoluzione suggerisce che l’Universo, nel suo complesso, non abbia mai smesso di essere creativo ed inventivo. Infatti, partendo dalle “particelle elementari”, costruendo via via gli atomi, le molecole, le cellule e gli organismi, fino a giungere agli individui coscienti ed alle società umane, ogni livello contiene ed arricchisce quello immediatamente inferiore, ma non può mai essere ridotto ad esso.

La selezione naturale ha avuto un grande ruolo nell’evoluzione dei viventi, come giustamente Darwin sottolineò, ma, a questo punto, mi piace sottolineare che la selezione naturale, come la funzione di un enzima, o altri fenomeni biologici, sono privi di significato a livello della Fisica dei singoli atomi; nessuno (o quasi), si sognerebbe di sostenere infatti che le leggi dell'elettromagnetismo possano essere usate per derivarne le "leggi” fiscali, solo perché queste ultime sono immagazzinate nei computer del ministero delle finanze! Da queste ed altre considerazioni, mi sembra evidente concludere che la concezione rozzamente materialistica della Natura e della Scienza, che ne è l’interprete, sia alquanto obsoleta, abbia fatto il suo tempo e debba essere sostituita da una visione più dinamica e più aderente alla nuova realtà che dobbiamo affrontare e spiegare.

Potrebbero esistere dei principi organizzatori, ancora in gran parte sconosciuti, che “guidano” la materia e l’energia verso livelli di organizzazione progressivamente più alti e la selezione naturale è probabilmente uno di questi, che sicuramente in armonia con altri (deriva genetica, evoluzione neutrale e chissà quanti ancora), in quasi 4 miliardi di anni di storia della vita su questo pianeta, ha arricchito la Terra d’innumerevoli forme biologiche, la maggior parte già estinte, ma alcune (forse 100 milioni), ancora viventi, nessuna delle quali, come abbiamo già visto, deducibile soltanto dalle semplici leggi fisiche della gravitazione, dell’elettromagnetismo o da altre ancora, dicano quello che vogliono gli irriducibili riduzionisti topi da laboratorio.

Darwin diede alla Storia Naturale quella legittimità olistica che la rende interpretativa della realtà; la “concordanza” dei risultati provenienti da discipline diverse è la chiave di volta del pensiero naturalistico, un pensiero che in circa 150 anni, dal 1859 data di pubblicazione dell’Origine delle Specie, ha cambiato dalle fondamenta la visione del mondo della specie umana. Come lo stesso Darwin ribadì nella prefazione al suo libro sui lombrichi, l’ultimo cronologicamente parlando dei suoi scritti, la massima: “de minimis lex non curat” non si applica alla Scienza; infatti, un argomento apparentemente di solo interesse specialistico, cela in realtà un messaggio di grande importanza per tutta la cultura umana, svelandoci l’approccio metodologico più corretto per accostarci allo studio della storia (e non solo biologica) in un modo scientifico.

La lezione darwiniana sui lombrichi, correttamente interpretata, diventa molto chiara ed eloquente : mutamenti piccoli ma continui nel tempo (come quelli operati dai lombrichi) producono effetti grandiosi e spesso insospettabili, considerando superficialmente l’entità effimera delle cause; l’ultimo libro di Darwin è quindi un libro a 2 livelli, un trattato esplicito sui lombrichi e una discussione velata di come si possa imparare sul passato studiando scientificamente il presente.

Per me è preferibile leggersi attentamente 300 pagine di Darwin sui lombrichi piuttosto che analizzare faticosamente quanto inutilmente 30 pagine di “verità eterne” predicate in modo più o meno esplicitamente da vanagloriosi “cervelloni”, arrivati chissà come a trovare il tutto nel nulla più completo. Per trovare quel briciolo di verità in perenne compimento e mai completamente e definitivamente raggiunta, Darwin ci consiglia di guardare più attentamente alle cose “terrestri”, al costo di dedicare meno tempo a quelle (apparentemente) celesti; per stabilire la storia di processi dalla durata troppo lunga per essere indagati durante la vita umana, dobbiamo costruire una teoria che spieghi una serie di fenomeni come fasi di un singolo processo storico. Allora, se quanto premesso è corretto, fasi differenti di vari esempi dovrebbero esistere simultaneamente nel presente e questa è proprio la grande lezione che ci proviene dallo studio di un’altra geniale opera darwiniana, quella sulle scogliere, barriere ed atolli corallini.

Darwin connesse le tre strutture ora citate con la sua teoria dello sprofondamento, considerandole come tre fasi di un singolo processo consistente nello sprofondamento di un’isola o di una piattaforma continentale al di sotto delle onde, man mano che il corallo vivente continua a crescere verso l’alto; quando la piattaforma sprofonda del tutto, un anello di corallo ne esprime la forma anteriore e si forma così un atollo. Risulta chiarissimo il grande valore di queste teorie darwiniane, non solo per lo studio delle formazioni coralline, ma anche per il grande e significativo esempio di come dovrebbe essere strutturata ogni teoria scientifica che si rispetti; infatti, nella struttura della teoria delle formazioni coralline c’è la chiave per la sua possibile confutazione o per il raffermamento della teoria stessa.

Darwin sembra indicare eloquentemente la via da seguire per confermare o confutare questa teoria e questa via è lo studio geologico approfondito delle formazioni coralline, così come l’altra e più conosciuta sua grande teoria, quella dell’evoluzione per selezione naturale, potrebbe essere esplicitamente confutata dal ritrovamento di fossili di mammiferi negli strati paleozoici. La grandezza di Darwin risalta anche per questi suoi insegnamenti metodologici; infatti un monito emana continuamente da tutti i suoi scritti ed è quello di stare sempre molto attenti a non confondere la vuota retorica parolaia con la vera Scienza, che per crescere e svilupparsi ha bisogno di onestà mentale, assenza di pregiudizi e disposizione intellettuale a ripudiare, al lume dei fatti oggettivi, le teorie alle quali magari il giorno prima si era disposti ad accordare la massima fiducia; con Darwin quindi, i campi delle Scienze Naturali e della Teologia divergono a 180°.

Uno dei libri più interessanti ed appassionanti del grande naturalista inglese è il “ Viaggio di un naturalista intorno al mondo”, nel quale l’Autore narra tutto quello che incontrò nel suo fatidico viaggio, iniziato nel 1831 e terminato nel 1836 almeno fisicamente, ma le cui ripercussioni culturali e morali accompagnarono Darwin per tutta la sua vita. Mai un viaggio attorno al mondo è stato tanto cruciale e significativo per tutta l’umanità; quel viaggio infatti ha cambiato la storia e la cultura umana.

Dopo il “Viaggio”, il genere umano si ritrovò spodestato e scacciato da quel posto privilegiato che si era scelto nel mondo della Natura e la sua umiliazione tanto profonda quanto sciocca ha lasciato una ferita profonda nell’incoscio collettivo, ancor oggi dolente. Tutto quello che lo scienziato britannico incontrò in quel viaggio, dalle tribù primitive della Terra del Fuoco, ai fringuelli delle Galapagos, dai terremoti e dalle eruzioni vulcaniche alle conchiglie fossili raccolte sulle Ande, insomma tutta quella fantastica esperienza, cospirò ad allontanare lo studioso dalla verità letterale della Bibbia, che il comandante della “Beagle”, l’aristocratico capitano FitzRoy avrebbe voluto veder confermata dalle scoperte del giovane naturalista. Invece, proprio durante quella spedizione, nella mente di Darwin cominciarono a prendere forma quelle idee assai poco ortodosse che lo portarono più tardi a formulare la celebre teoria secondo cui le specie viventi non sono state create così come oggi ci appaiono, ma si sono modificate a causa delle mutazioni casuali e della selezione naturale e nel tempo hanno dato origine a nuove forme di vita.

I viaggi naturalistici non furono rari durante i secoli diciottesimo e diciannovesimo e Darwin non fu immune dal fascino che emanavano i libri dei grandi naturalisti viaggiatori, in principal modo dai testi di Alexander von Humboldt, la cui sapienza e saggezza, accompagnate da un alone magico d’illuminismo romantico influenzarono fortemente quel naturalista esploratore, raccoglitore e teorizzatore che andava delineandosi nella sua personalità. Darwin aveva letto con interesse le pagine humboldtiane sui tropici americani, ma quello che lo interessò di più fu senz’altro la descrizione naturalistica che lo studioso germanico fece delle Isole Canarie, le mitiche “Isole Fortunate”, il “Giardino delle Esperidi”, quel paradiso sempre in fiore dove Humboldt aveva concepito i principi della Biogeografia ed aveva scritto queste frasi:” Le colonie spagnole sono le terre dell’ospitalità; I canari sono gente onorata, sobria e religiosa ed ad essi si deve in gran parte il progresso dell’agricoltura nelle colonie americane”. Nella sua lettera al barone di Forell, aggiunse: ”Che cultura! Uno si crederebbe trasportato a Londra, se i bananeti, i cocchi non ci ricollocassero nelle Isole Fortunate. Al fratello Guglielmo scrisse lettere in cui si sprigiona la nostalgia per una terra idilliaca: “ me ne vado quasi in lagrime; mi sarebbe piaciuto stabilirmi qui ed appena ho lasciato le terre d’Europa”. Darwin infatti scrisse nella sua “Autobiografia”: “ Nell’ultimo anno di Cambridge, lessi con attenzione e con profondo interesse “Personal Narrative” di Humboldt e “Introduzione allo studio della filosofia naturale” di Sir J. Herschel.

Nessun altro libro ebbe su di me un’influenza simile a quella di queste due opere. Copiai dai “Ricordi” di Humboldt lunghi brani su Tenerife, che lessi ad alta voce a Henslow, Ramsay e Dawes in una delle escursioni a cui ho accennato sopra. Avevo già avuto occasione di parlare delle meraviglie di Tenerife e qualcuno del gruppo diceva di voler organizzare un viaggio; io invece facevo sul serio e mi procurai anche una presentazione ad un mercante di Londra per informarmi sulle possibilità d’imbarco”. Che Darwin, sulla scia dei grandi naturalisti viaggiatori ed esploratori, agognasse un viaggio alle Isole Canarie è molto significativo ed interessante, perché ciò evidenzia che ancor prima di partire, egli aveva individuato l’importanza delle isole nei processi di differenziazione delle specie, ovvero la possibilità della loro modificazione a causa dell’isolamento geografico.

Tenerife e le altre Isole Canarie, rappresentavano nel secolo scorso per i naturalisti europei, il primo incontro con la natura tropicale senza l’aspetto spesso traumatico, costituito dall’incontro con civiltà diverse in una Natura spesso ostile. Purtroppo, com’è noto, Darwin non poté sbarcare a Tenerife né toccare il suolo di un’altra isola dell’arcipelago, perché le autorità locali non accordarono al capitano della nave inglese il permesso necessario. La possibilità di poter godere della Natura macaronesica (sebbene soltanto della cosiddetta oggi ”Macaronesia secca” fu offerta a Charles Darwin alle Isole del Capo Verde, i cui governanti, essendo di cultura lusitanica, erano ben più propensi nei confronti dei navigatori inglesi ed in tale arcipelago il giovane Darwin intraprese il suo primo lavoro geologico che lo portò ad un esercizio di ragionamento lyeliano, in cui sosteneva che doveva esserci stato un sollevamento graduale di tutta l’isola di Santiago ed una successiva subsidenza graduale attorno ai crateri vulcanici.

Il 29 febbraio del 1831, la Beagle raggiunse le coste del Sud America e si ancorò a Bahia; lo spettacolo della lussureggiante vegetazione tropicale impressionò moltissimo il giovane naturalista e mi sembra opportuno, anche questa volta, riportare le sue parole, tratte dal “Viaggio”:” La parola delizia è debole per esprimere i sentimenti di un naturalista che ha passeggiato per la prima volta in una foresta brasiliana. L’eleganza delle erbe, la novità delle piante parassite, la bellezza dei fiori, il verde splendente del fogliame, ma soprattutto la rigogliosità della vegetazione, mi colpirono di ammirazione.

Un insieme di suoni e di silenzio pervade le zone ombrose della foresta. Il rumore degli insetti è così forte, che può essere udito persino da una nave ancorata a parecchie centinaia di metri dalla spiaggia; nei recessi della foresta invece, regna un silenzio assoluto. Per una persona appassionata di Storia Naturale, una giornata trascorsa in quei luoghi procura un piacere così profondo da non poter sperare di goderne altrettanto in futuro”.

Le lussureggianti foreste del Brasile, restarono infatti per sempre piacevolmente impresse nella mente di Darwin come il trionfo della vita sulla morte, così come quelle della Terra del Fuoco rappresentarono per lui l’apoteosi della morte e del disfacimento. Nei dintorni di Rio de Janeiro, Darwin vide un curioso fungo, appartenente al genere Hymenophallus e quindi molto simile a certe specie che egli conosceva per averli visti in Inghilterra e che in autunno ammorbano l’aria con il loro odore odioso che, come sanno gli entomologi, costituisce invece una deliziosa fraganza per alcuni coleotteri della fauna paleartica. Darwin si accorse ben presto che nella natura neotropicale esisteva lo stesso rapporto tra miceti ed insetti, in quanto osservò uno Strongylus (coleottero tenebrionide) che attirato dall’odore, si posò sul fungo.

Evidente risultava quindi una grande lezione di Storia Naturale oggi ben conosciuta, ma, ai tempi di Darwin ben poco studiata: in due paesi distanti, appartenenti a zone biogeografiche distinte, esisteva quindi la stessa relazione tra vegetali ed insetti delle medesime famiglie, sebbene le specie di entrambe fossero diverse.

Riportiamo di nuovo altre considerazioni dell’insigne studioso:” Vidi nelle pianure temperate della Plata, riapparire le elegantissime ed attive forme degli Harpalini. I coleotteri carnivori o Carabidi si trovano invece in numero scarsissimo ai tropici e ciò è la cosa più notevole se paragonata al caso dei carnivori quadrupedi che sono così abbondanti nei paesi caldi. I numerosi ragni ed i rapaci imenotteri sostituiscono forse i coleotteri carnivori? Quelli che si nutrono di cadaveri ed i Brachelytra sono rarissimi, invece i Rhynchophora ed i Chrysomelidae, che dipendono entrambi dal mondo vegetale per la loro sussistenza, sono presenti in numero sbalorditivo. Non mi riferisco qui al numero delle diverse specie, ma a quello dei singoli individui, perché è da questo che dipende il carattere più spiccato dell’Entomologia delle diverse regioni”.

Ecco, chiaramente rispecchiato in questo breve stralcio darwiniano l’essenza peculiare della nuova visione del’esistenza che d’allora si è insinuata nella cultura occidentale dapprima e poi in quella planetaria: la “verità” non viene regalata all’uomo dalla vacua speculazione né dall’esaltante mistica poetica, ma deve essere costruita poco per volta dall’analisi degli elementi del mondo fisico; tutto questo richiede studio, applicazione costante, amore per la Natura e rispetto per le sue Leggi, gli unici principi universali che l’uomo deve riconoscere ed onorare.

Quando Darwin, grazie alla consulenza specialistica di Richard Owen, anatomista al Royal College of Surgeons e discepolo di Cuvier, si rese conto delle connessioni tra le ossa fossili raccolte in Sud-America e vari animali ancora viventi in quel continente, le sue idee sulla modificazione delle specie attraverso il tempo geologico si rafforzarono ulteriormente. Infatti, Toxodon platensis aveva affinità con il capibara e Macrauchenia patachonica con il guanaco; non si conoscevano però forme intermedie che collegassero le specie antiche con le moderne, perciò, per quanto indicative, le testimonianze fossili non erano sufficienti a sostenere un’ipotesi evoluzionista: era necessario un altro elemento e questo elemento fu fornito dall’attuale distribuzione geografica delle specie. Darwin scrisse di essere rimasto colpito:” dal modo in cui animali strettamente affini, si sostituiscono via via che sul continente si procede verso sud”.

Sul suo “Taccuino rosso”, nel marzo 1837, scriveva: “Lo stesso tipo di rapporto che c’è tra lo struzzo comune ed il minore, c’è tra il guanaco estinto e quello recente: nel primo caso il rapporto è dato dalla posizione geografica, nel secondo dal tempo”. Nelle Pampas, presso punta Alta, Darwin scoprì resti fossili di grandi mammiferi; la formazione delle Pampas è descritta da Darwin come consistente in parte di argilla rossiccia ed in parte di roccia marnosa molto calcarea. Era evidente il lento sollevamento del terreno, per la presenza di strati sollevati di conchiglie recenti e ciottoli arrotondati di pomice sparsi nella regione.

In questa formazione, il naturalista britannico trovò Toxodon, Megatherium, Mylodon darwinii, Macrauchenia, Scelidotherium eccetera. Mylodon darwinii si avvicina alquanto agli attuali armadilli, ma anche gli altri ritrovamenti dimostrano il loro rapporto con le rispettive forme oggi presenti nella fauna sud-americana. Tutti i fossili di Punta Alta erano sepolti in una ghiaia stratificata ed in un fango rossiccio, proprio uguale a quello che il mare potrebbe gettare ora su una spiaggia bassa; essi erano associati a 23 specie di conchiglie, tredici delle quali sono recenti ed altre quattro sono strettamente affini a forme recenti, per cui risultava chiaro che questo deposito doveva appartenere ad un recentissimo periodo del Terziario ma che nello stesso tempo quei giganteschi quadrupedi trovati da Darwin dovevano essere vivi quando il mare era popolato dalla maggior parte dei suoi attuali abitanti, cioè non molto tempo fa.

Gli strati fossiliferi si trovavano inoltre da 4 ai 6 metri sul livello dell’alta marea e perciò il sollevamento del terreno in questo periodo è stato piccolo. In questo studio, il grande naturalista riconobbe una relazione sistematica tra la quota ed il rapporto: specie viventi/ specie estinte; maggiore risultava il rapporto, minore doveva essere la quota e più recenti nel tempo i fossili in oggetto. Ma fu in Cile dove Darwin si convertì del tutto al sistema di Lyell; infatti egli dedusse che la pianura di Coquimbo doveva essersi sollevata di almeno 80 metri in un passato abbastanza recente, perché le conchiglie fossili sparse nella pianura rassomigliavano moltissimo alle conchiglie che si potevano raccogliere sulla spiaggia attuale; inoltre, il terremoto di Concepciòn, a cui lo studioso assistette nel febbraio del 1835, ebbe un considerevole effetto sul suo pensiero, in quanto poté constatare personalmente l’innalzamento conseguente della costa di qualche metro per un tratto di 160 chilometri.

Nel “Viaggio”, ricordando tutti questi fatti, scrisse: “Il geologo deve abituarsi ogni giorno all’idea che nulla, nemmeno il vento che soffia, è così instabile come il livello della crosta terrestre”; evidentemente aveva già maturato il concetto fondamentale, storico e dinamico della Natura che da inerte e statico palcoscenico si trasformava in realtà in perenne movimento, in grado perfino di forgiare il destino ultimo dell’intera specie umana. Darwin aveva capito che le sorti dell’umana progenie sono inscritte nel grande codice cosmico delle leggi naturali e chi un giorno dovesse capire com’è fatta una blatta, contribuirebbe al progresso della conoscenza di più di coloro che, con presunzione ed autorità pretendono di vaticinare sul sesso degli angeli. Ma questo concetto, purtroppo anche tra gli intellettuali contemporanei, non è ben inteso e da tutti accettato; le Scienze Naturali continuano ad essere considerate come depositarie di pesanti gravami di tediosi tecnicismi e quasi del tutto prive di contenuti formativi per lo spirito umano. Di conseguenza, appare logico che si dia tanto risalto, per esempio, alla storia della letteratura e s’ignori pressoché totalmente la Storia delle Scienze e lo studio dei rispettivi “Classici”, tra i quali il “Viaggio” di Charles Darwin occupa un posto distaccato e fondamentale. Io, che ho letto e riletto l’Origine delle Specie all’età di 15 anni e me ne sono appassionato come e meglio di un brillante romanzo di avventure, continuo ancor’ora e rileggere stralci del “Viaggio”, scoprendovi ogni volta nuovi spunti per ulteriori e profonde riflessioni che mi risultano imprescindibili per intendere il pensiero del grande naturalista e per la mia opera quotidiana di docente di discipline scientifiche.

Conosco, per contro, diversi colleghi ed amici, che pur operano nel settore della Scienza, che non si sono mai presi la briga, magari spinti dalla curiosità intellettuale, di cercare di capire il messaggio darwiniano, spesso dato per “superato” dai “media” e travisato ad arte in tantissimi e fuor di luogo aforismi di basso conio. Molti di questi professionisti, che costituiscono un campione abbastanza significativo delle tendenze e dei comportamenti delle classi più colte, trovano più consone alle loro esigenze culturali, la letteratura, la politica o lo sport ed anzi ricordo sempre con grande sconforto, l’affermazione di un collega docente di Scienze Naturali in un istituto superiore, che mi confidò la sua totale mancanza d’interesse per le discipline naturalistiche e la sua vivida passione per la politica, evidentemente ben più importante per lui.

Con realismo e con sconforto, ho imparato che questi atteggiamenti degli addetti ai lavori, almeno tra i docenti, sono la regola e non l’eccezione, mentre tra i professori delle discipline artistico-letterarie non ho riscontrato lo stesso atteggiamento, ma anzi, di norma, una grande stima per il significato culturale e formativo delle loro discipline. Ogni regola ha ovviamente le sue eccezioni, ma normalmente ed in ogni tipo di scuola, i docenti delle discipline artistico-filosofico-letterarie risiedono alla “tavola alta della cultura”, posto che, spesso per l’incuria, il disinteresse o l’incompetenza degli operatori del settore scientifico, si sono pienamente meritato.

Il fatto importante rimane però quello a cui più volte abbiamo accennato, cioè che con l’interpretazione darwiniana della vita e dell’esistenza (così come con qualche altra grande concezione scientifica), il mondo cambia decisamente e completamente aspetto e la cultura umana, nella sua totalità, non può continuare a rimanere ostaggio perpetuo (come lo è stato fino ad ora), di teologi, filosofi e sognatori. Se la Biologia avesse indicato il mondo degli archetipi come il mondo reale e se Goethe oltre ad essere stato un grande poeta, fosse diventato un vero scienziato, un Darwin neoplatonico, potremmo semplicemente continuare a dilettarci con la solita musica ed a consolarci con le consuete stramberie orrende che ancora ai nostri giorni castrano ed umiliano le nostre speranze intellettuali ghettizzate in quei grandi penitenziari del pensiero, veri e propri purgatori delle anime coscienti e profonde che sono le nostre scuole per molti dei nostri ragazzi. Ma le cose non stanno più nei soliti termini stantii e come Arnold Gehlen ha affermato: “Che l’uomo si concepisca come creatura di Dio oppure come scimmia arrivata implica una netta differenza nel suo atteggiamento verso i fatti della realtà; nei due casi si obbedirà a imperativi in sé diversissimi”. Anche se né Darwin né nessun serio studioso ha mai sostenuto che l’uomo è una scimmia arrivata, il senso implicito dell’affermazione di Gehlen resta valido ed il naturalista britannico e le Scienze Naturali, sue figlie legittime, con tutti i loro contenuti di classificazione, di minuzie, di quisquilie a parer di alcuni cervelloni campioni di obsolete conoscenze, costituiscono, oggi più che mai, il corpus di conoscenze che più di qualsiasi altre, indica all’intelletto umano il sentiero per affrontare seriamente ed azzardare risposte sensate, alle più antiche, importanti ed essenziali domande che qualsiasi essere umano, dotato di normali capacità, prima o poi nella sua vita si pone ed a seconda di come li affronta e come tenta di rispondere a questi cruciali quesiti, la sua vita spirituale ne risulterà segnata per sempre.

Darwin ha dimostrato anche questo: le Scienze Naturali non vanno a braccetto con le discipline tecnico pratiche, di sapere spicciolo e frammentario, ma vanno direttamente allo studio delle radici di tutte le cose, sia di quelle materiali come di quelle cosiddette spirituali, feudi incolti della presunzione e della retorica autoproclamantisi “umanistica”, che poi è per inciso quella “cultura” che faceva bruciare vivi i liberi pensatori e che condanna tutt’oggi milioni di giovani studenti alla lettura e rilettura pseudocritica dei soliti romanzi e poemi più o meno uggiosi, negando loro, automaticamente, l’accesso alla conoscenza globale, olistica, humboldtiana della Natura e della vera, grande Cultura dell’uomo; quella Umanistica che è d’obbligo scrivere con la U maiuscola. Darwin oltre che scienziato, fu anche vero Umanista ed attraverso le sue opere si constata chiaramente la sostanziale convergenza di linguaggi delle 2 culture, al di là delle loro apparenti opposizioni; infatti, come evidente si palesa in tutti gli scritti darwiniani, l’indagine scientifica è di natura filosofica e le teorie scientifiche sono trattazioni di natura letteraria. L’Origine delle Specie, nella sua prima edizione, andò esaurita il giorno stesso della sua pubblicazione (così come, ai nostri giorni, il libro di Stephen Hawking: “Dal Big-Bang ai buchi neri”, ha battuto tutti i record di vendita del secolo ventesimo, pur trattandosi di un libro scientifico di non facilissima lettura).

Il “Viaggio”, opera chiaramente ispirata dal pensiero dei grandi naturalisti viaggiatori-esploratori ed humboldtiana quasi per naturale simpatia, è grande letteratura e grande Scienza, perché tratta della conoscenza ragionata (e non solo descrittiva) dei fenomeni naturali (ed umani), incontrati in questo famoso e storico viaggio.

A differenza di tanti altre opere esclusivamente letterarie, trattasi di un libro poco letto e studiato, eccezion fatta, forse, per quella ridotta schiera di naturalisti “addetti ai lavori” e per pochi scienziati eclettici e curiosi; il mondo della scuola ufficiale, non ha mai avuto grandi simpatie né per Darwin né per i suoi libri, anche se questo studioso è unanimemente considerato il “Newton della Biologia”. La cultura dominante nel diciannovesimo secolo, come ancor oggi, infarcita dalle ideologie della grande mistificazione fatte su misura per questa società di mercanti nemici della cultura con maiuscola, si serve della Scienza come la casalinga utilizza un libro di ricette culinarie; in altri termini, come abbiamo altre volte ribadito, è soltanto il risultato tecnologico che interessa, per il resto, la cultura delle reti televisive, quotidiani, premi (incluso i Nobel) e sensazionalismo, rimane essenzialmente ancorata ad un mondo obsoleto, completamente avulso dai bisogni e dalle istanze culturali dei nostri tempi.

Darwin stesso fu turbato ed infastidito da questo monopolio letterario che operava nella società vittoriana della metà del secolo diciannovesimo e nella sua “Autobiografia” confessava di trovare Milton intollerabilmente sciocco e Shakespeare tanto noioso da provarne un malessere fisico. Senza assolutamente aver la pretesa di paragonarmi all’esimio naturalista britannico, devo confessare che la stessa cosa succedeva a me, quando, liceale, ero costretto a trangugiare, a denti stretti, la “Divina Commedia” o i “ Promessi Sposi”, devo ammetterlo senza reticenze, sicuro di essere per questi peccati considerato dai soliti censori benpensanti, un rozzo ed ignorante scientista.

Come impenitente ed incallito viaggiatore, animato però da spirito antituristico, sono costretto a riportare integralmente l’apologia del viaggio di Charles Darwin, che, a proposito, si esprime in questi termini: “ Viaggiando si scoprirà quante persone veramente di cuore vi siano, con le quali non si aveva mai avuto o non si avrà più contatti e che son tuttavia disposte ad offrirti il più disinteressato aiuto”. Il viaggiare aveva insegnato a Darwin molte più cose su Dio e la Natura di quanto avessero preteso d’insegnarglieli i professoroni delle università britanniche; in particolare la Geologia, la Paleontologia, la Botanica e la Zoologia, lo avevano illuminato sulla storia del continente sudamericano: " Tutto, in questo continente meridionale è stato fatto in grande scala; il terreno del Rio de la Plata fino alla Terra del Fuoco, per una distanza di 2000 chilometri, è stato sollevato in massa (e nella Patagonia ad un’altezza da 90 a 120 metri) durante il periodo delle conchiglie marine viventi ora.

Il movimento di sollevamento è stato interrotto da almeno 8 lunghi periodi di riposo, durante il quale il mare penetrò profondamente nella terra formando a livelli successivi le lunghe file di rilievi o di scoscendimenti che separano i diversi piani che sorgono l’uno dietro all’altro come gradini. A Porto San Giuliano, in un po’ di fango rosso che riveste la ghiaia su un piano a 27 metri trovai mezzo scheletro della Macrauchenia patachonica…. È certo che questo quadrupede viveva molto tempo dopo che il mare era abitato dalle attuali conchiglie”; ed ancora: “La Geologia della Patagonia è interessante. Abbiamo qui per centinaia di chilometri lungo le coste un grande deposito che contiene parecchie conchiglie terziarie, tutte apparentemente estinte. Una massa di ghiaia, che forma probabilmente uno dei più grandi letti di ghiaia del mondo, si estende dalle vicinanze del Rio Colorado fino a 700 miglia nautiche verso sud.

Al fiume Santa Cruz esso raggiunge i piedi della Cordigliera dalla quale provengono i ciottoli di porfido ben arrotondati; possiamo considerare la sua larghezza media di 300 chilometri ed il suo spessore medio di circa 15 metri. Se questo grande letto di ciottoli, senza contare il fango prodotto dal loro attrito, fosse raccolto in un mucchio, formerebbe una grande catena di montagne! Quando consideriamo che tutti questi ciottoli, innumerevoli come i granelli di sabbia nel deserto, si sono originati dalla lenta caduta di massi di roccia sulle antiche linee di costa e sulle rive dei fiumi e che questi frammenti sono stati rotti in pezzi più piccoli e che ognuno di essi è stato poi lentamente rotolato, arrotondato e trasportato lontano, la mente rimane stupefatta pensando al lungo numero di anni assolutamente necessario per tutto questo”.

Una nuova concezione del mondo emerge da queste poche righe; tutta l’attenzione che i sapienti del mondo classico avevano riversato sul pensiero dei grandi filosofi o sulla decifrazione di antichi codici, adesso è spostata su umili ciottoli, resti fossili e altri oggetti naturali che nemmeno meritavano uno sguardo superficiale (almeno secondo la concezione dei cosiddetti ”umanisti” di ieri e di oggi). Inoltre, e questo è molto importante, questi oggetti naturali, secondo il ragionamento di Darwin e di altri naturalisti che lo hanno preceduto, erano imprescindibili per poter ricostruire la Storia Naturale di una determinata regione e quindi costituiscono oggetti storici di somma importanza per capire il passato e cercare di inferire il futuro, non solo di un luogo particolare, ma anche di tutto il Pianeta, con tutti i suoi esseri viventi che lo hanno popolato e che lo popolano, umanità inclusa.

La “morale” del metodo darwiniano (che poi altro non è se non la corretta applicazione dei metodi delle Scienze) è quindi chiara ed evidente: se vogliamo conoscere la storia delle cose, incluso le nostre vere origini, piuttosto che interrogare filosofi o teologi, dobbiamo studiare rocce e fossili ed accostarci con umiltà e devozione al grande “corpus” di sapienza delle Scienze, unica soluzione per cercare di capire chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Darwin non fu mai un brillante scolaro, piuttosto i documenti di cui disponiamo ce lo dipingono come un mediocre alunno per le scuole ad indirizzo classico dell’epoca ma anche un potenziale grande costruttore di sistemi; gli amici e colleghi lo chiamarono “gas”, per la sua propensione agli esperimenti chimici, filosofo, per la sua tendenza a teorizzare, ma egli stesso, in un suo taccuino, preferì definirsi così: “Io, Geologo”. Aveva chiaramente capito, evidentemente, che la Geologia costituisce la dimensione storica della Natura, quella disciplina che ci permette di apprezzare il significato di rocce, minerali e fossili almeno alla stregua dei più importanti e significativi monumenti della Storia delle arti dell’uomo; peccato che, a distanza di un secolo e mezzo, i legislatori della scuola attuale, come quelli dell’epoca predarwiniana, non si siano ancora resi conto che, per la formazione dell’uomo e del cittadino, la Geologia e le Scienze Naturali sono imprescindibili e le poche ore settimanali assegnate a tali discipline non sono assolutamente sufficienti.

Il Naturalista non si limita a raccogliere, collezionare e classificare i reperti trovati, ma cerca di capire la “logica” che tali oggetti sottendono, i rapporti di parentela ovvero di discendenza (se trattasi di viventi) e la loro ragion d’essere nel grande schema cosmico che il progresso scientifico particolare permette di cogliere ed interpretare.

Tutto questo, ed ancor più, fece Darwin durante il suo “Viaggio” ed è significativo ed interessante ciò che scrisse quando visitò le Galapagos: “ Perché su questi piccoli lembi di terra che in un passato periodo geologico devono essere stati coperti dall’oceano, che sono formati da lava basaltica e differiscono perciò nel loro aspetto geologico dal continente americano e che si trovano sotto un clima particolare, perché i loro abitanti aborigeni associati, posso aggiungere, in proporzioni diverse, tanto nel genere quanto nel numero, da quelli esistenti sul continente e perciò agenti l’uno sull’altro in modo diverso, furono creati sul tipo di organizzazione americano?

Risulta probabile che le isole del gruppo del Capo Verde assomiglino molto più strettamente in tutti i loro aspetti fisici alle isole Galapagos di quanto queste ultime non assomiglino fisicamente alle coste dell’America, tuttavia gli abitanti aborigeni dei due gruppi sono totalmente diversi: quelli delle isole del Capo Verde portano l’impronta dell’Africa e quelli dell’arcipelago delle Galapagos sono foggiati su quella dell’America”. Bastano queste poche righe, magistralmente scritte da un grande pensatore, per far dischiudere davanti la coscienza di ogni uomo onesto, di normale intelligenza, orizzonti nuovi, grandi verità essenziali ed esistenziali costituite da una Natura in perenne evoluzione della quale l’umanità è figlia e parte integrante, non fosse altro che per la sua filogenesi biologica.

Capire il fenomeno naturale, molto complesso ed articolato, dell’evoluzione delle specie, si trasforma, intendendo questi concetti, in intuizione illuminante; ogni persona non addetta ai lavori, probabilmente dentro di sé esclamerà. “Ah!, come mai non ci avevo pensato!” Ma Darwin non fu solo naturalista e non rimase insensibile di fronte al grande caleidoscopio di culture evidenziate dai popoli con i quali venne in contatto; certo, la sua perizia antropologica non può compararsi con quella di Humboldt e spesso, anzi, evidenziò limitazioni eurocentriche se non addirittura sciovinismo britannico puro, ma non sono rare, nelle sue disquisizioni socio-antropologiche, pagine di grande bellezza e di notevole acume e longimiranza storica.

La sua cultura liberale, gli ispirò sempre repulsione per lo schiavismo, per cui, ogni volta che il suo peregrinare lo portava ad incontrarsi con episodi di discriminazione razziale o addirittura di violenza razzista, il nostro naturalista non esitava ad elogiare le leggi inglesi che avevano proibito (almeno di diritto) la schiavitù e la grande umanità con la quale, nelle ex colonie spagnole, a differenza di quelle portoghesi, nella maggior parte dei casi si trattava la gente di colore.

Ritengo opportuno, a proposito, riportare alcuni brani che evidenziano le impressioni di Darwin riguardo alle società neoindipendenti dell’America Meridionale. “Entrando per la prima volta nella società di questi paesi, due o tre fatti colpiscono in modo notevole: i modi cortesi e dignitosi che si trovano in ogni classe, il gusto eccellente dimostrato dalle donne nel vestire e l’eguaglianza di tutte le classi. Impossibile risulta dubitare che l’estrema libertà di questi paesi non porti, finalmente a grandi risultati. La grandissima tolleranza per le religioni straniere, l’attenzione rivolta ai mezzi d’educazione, la libertà di stampa, le agevolazioni offerte a tutti i forestieri e specialmente a chiunque professi le più umili pretese di Scienza, devono essere ricordate con gratitudine da coloro che hanno visitato l’America Meridionale”.

Questo apprezzamento per la naturale cortesia e l’illimitata ospitalità degli ispanoamericani, completa ed integra, un trentennio dopo, l’ottima impressione che ricevette Humboldt, visitando paesi e città ispanofone, a quei tempi ancora colonie spagnole. Così infatti si espresse Humboldt: “Ho visto consecutivamente, in un breve periodo di tempo, Lima, Città del Messico, Filadelfia, Washington, Parigi, Roma, Napoli e le più grandi città tedesche e devo confessare che le città ispaniche, specialmente città del Messico, hanno lasciato in me una certa idea di grandezza, che attribuisco principalmente al carattere di grandiosità che le danno la loro situazione e la natura dei dintorni…. Città del Messico deve considerarsi senza dubbio alcuno, tra le più belle città che gli europei hanno fondato in entrambi gli emisferi….. i suoi edifici potrebbero adornare le principali piazze di Parigi e Londra”.

Ho riportato questi pochi stralci socio-antropologici humboldtiani e darwiniani, perché mi sembra opportuno far risaltare il loro grande valore educativo e formativo nei confronti della cultura della mondialità, in quanto ho la sensazione che, nonostante il “villaggio globale” risulti notevolmente rimpicciolito dai viaggi intercontinentali e da internet, non per questo la tolleranza tra le diverse culture è aumentata e la conoscenza di popoli e paesi, anche vicini, è andata più oltre di un distratto sguardo dal finestrino del mezzo di trasporto del quale ci si serve.

Se la cultura che chiamiamo erroneamente moderna, ma che, come abbiamo già visto, più propriamente dovremmo chiamare contemporanea, fosse Scientifica o almeno includesse anche la Scienza nel programma di formazione delle coscienze, le conoscenze di popoli e paesi avrebbero un posto preminente nella didattica rivolta alle nuove generazioni ed il culto per la diversità sostituirebbe certamente la soffocante uniformità comportamentale che molti costatiamo tra i giovani di queste ultime generazioni.

La teoria darwiniana dell’evoluzione fu il principale contributo della Biologia alla storia delle idee del secolo diciannovesimo; essa costrinse gli scienziati ad abbandonare l’immagine newtoniana del mondo come una macchina uscita completamente dalle mani del suo creatore ed a sostituirla con il concetto di un sistema in evoluzione e soggetto ad un continuo mutamento.

Questo cambiamento di paradigma, purtroppo, non indusse però i biologi a modificare il loro modello riduzionistico, al contrario, essi si concentrarono sul compito d’includere la teoria darwiniana nello schema cartesiano, conseguendo un successo enorme nello spiegare molti fra i meccanismi fisici e chimici dell’eredità, ma rivelandosi incapaci di capire la natura essenziale dello sviluppo e dell’evoluzione. I problemi che i biologi non sono in grado di risolvere oggi, a conseguenza della ristrettezza e della frammentarietà del loro approccio, sembrano essere tutti connessi alla funzione dei sistemi viventi come totalità ed alle interazioni all’interno dell’organismo e tra questo e l’ambiente circostante. Si stenta a comprendere l’integrazione delle varie reazioni biochimiche intracellulari, quella del sistema nervoso e dell’embriogenesi, per indicarne solo alcune tra le più importanti.

Il superamento in Biologia, come già da tempo è avvenuto in Fisica, del modello cartesiano, equivarrà ad una rivoluzione importante nelle discipline biomediche, che devono liberarsi della concezione riduzionistica secondo la quale i tratti caratteriali di un organismo sono determinati unicamente dal suo corredo genetico. Questo determinismo genetico (alla Dawkins) è una conseguenza diretta della concezione degli organismi viventi come macchine, controllate da catene lineari di causa ed effetto. S’ignora, in tal modo, il fatto fondamentale che gli organismi sono sistemi a molti livelli, con i geni inclusi nei cromosomi, i cromosomi funzionanti nel nucleo delle cellule, le cellule incorporate nei tessuti e così via; tutti questi livelli sono impegnati in interazioni reciproche che influiscono nello sviluppo dell’organismo e hanno come risultato ampie variazioni del “progetto genetico”.

I concetti darwiniani di variazione casuale e di selezione naturale, sono solo 2 aspetti di un fenomeno complesso che può essere inteso molto meglio all’interno di uno schema olistico o sistemico. In contrasto con la concezione meccanicista, cartesiana del mondo, abbiamo visto che la visione che emerge dalla Fisica moderna è organica, olistica ed ecologica; l’Universo non è visto come una macchina composta da una moltitudine di oggetti ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo dinamico cosmico.

L’esplorazione dell’atomo ha costretto i fisici a rivedere in modo radicale i loro concetti basilari sulla natura della realtà fisica. In Biologia, l’unico schema generale usato è ancora quello cartesiano in cui gli organismi viventi sono visti alla stregua di macchine fisiche e biochimiche che devono essere spiegate completamente in funzione dei loro meccanismi molecolari. Oggi è evidente che solo una piccola parte del D.N.A (meno del 5%) viene usata per specificare proteine; tutto il resto potrebbe essere usato per attività integrative, su cui i biologi resteranno probabilmente ignoranti finché si attarderanno attestati ai loro modelli riduzionistici; il genoma è qualcosa che sta ancora al di là delle nostre capacità scientifiche di spiegazione, almeno per quanto riguarda la sua genesi, ma per la sua evoluzione nel tempo abbiamo una soluzione pronta: il darwinismo.

Le mutazioni casuali unite alla selezione naturale sono un meccanismo a colpo sicuro per generare informazione biologica e trasformare nel corso del tempo un breve genoma casuale in un genoma casuale più lungo; il caso, sotto forma di mutazione e la legge, sotto forma di selezione, costituiscono la giusta combinazione di ordine e casualità necessaria a creare l’oggetto impossibile. Ma, sia la Meccanica Quantistica sia la Relatività, indicano che l’informazione è una quantità fisica globale e non locale; non si può semplicemente esaminare una posizione dello spazio e trovarvi informazione, quindi non si può individuare l’origine dell’informazione biologica nell’azione di leggi e forze fisiche locali; la tanto reiterata affermazione che la vita è scritta nelle leggi della Fisica non può essere vera. Non conosciamo le origini dell’informazione biologica; esse, probabilmente vanno ricercate in un contesto globale, che potrebbe coinvolgere qualche tipo di legge fisica non locale, tuttora non riconosciuta dalla Scienza; ma se le normali leggi fisiche non possono istillare informazione biologica e se scartiamo i miracoli, come può la vita essere predeterminata ed inevitabile anziché il frutto di un caso fortuito? Com’è possibile generare contemporaneamente complessità casuale e specifica con un processo assimilabile ad una legge?

Potrebbe esserci una soluzione nello studio dei sistemi complessi; infatti molti ricercatori sono convinti che esistano principi matematici universali che governano il comportamento di questi sistemi. Tali principi non si possono ricavare dalle leggi fisiche che stanno alla base dei processi, ma sorgono dalla struttura logica del sistema, ma questo è l’argomento del prossimo capitolo e ne riparleremo a proposito dell’origine dell’informazione biologica. Abbiamo esaminato il pensiero darwiniano partendo da alcune delle sue opere meno conosciute rispetto, al suo capolavoro principale:”

L’Origine delle Specie”; mi piace ultimare questo modesto tentativo di capire meglio il pensiero e le opere del grande naturalista britannico, riportando di seguito, le frasi conclusive dell’Origine, che di sicuro meraviglieranno coloro che, senza mai aver letto un’opera darwiniana, credono di saper tutto di questo naturalista, che senza mai essere stato confutato nelle linee essenziali del suo pensiero, da molti è considerato superato. Con queste parole, Charles Darwin concluse il capitolo quindicesimo di una delle più grandi opere che siano mai state concepite dall’intelletto umano: l’Origine delle Specie, la cui prima edizione uscì nel 1859 e andò esaurita il primo giorno della sua pubblicazione: “Così, dalla guerra della Natura, dalla carestia e dalla morte, direttamente deriva il più elevato oggetto che si possa concepire, cioè la produzione degli animali superiori.

Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con i suoi diversi poteri, originariamente impressi dal Creatore in poche forme, in una forma sola; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano a evolversi”.

PROF DAVIDE CASTELLI.